MUSCOLI e OSSA

SINTESI

L’osteoporosi è una malattia che indebolisce le ossa e si manifesta in età adulta, soprattutto nelle donne dopo la menopausa. Per osteoporosi si intende quindi una forma di fragilità delle ossa, che perdono calcio e sali minerali a causa del sopraggiungere della menopausa e della conseguente fine dell’attività di protezione degli ormoni estrogeni. Questa è una condizione che può interessare anche gli uomini di una certa età anche se le percentuali, rispetto a quelle delle donne, sono sensibilmente più basse.
L’osteoporosi lavora lentamente sulla struttura delle ossa, rendendo sempre più fragile la microstruttura del loro tessuto, tanto da renderne facile la suscettibilità alla frattura.

Le osteoporosi vengono classificate come:
Primitive:
post-menopausali
senili
Secondarie:
malattie endocrine
malattie ematologiche
malattie app.gastro-enterico
malattie reumatiche
malattie renali
altre condizioni.
Da farmaci:
corticosteroidi
immunosoppressori
anticoagulanti
l-tiroxina a dosi soppressive
diuretici dell’ansa
chemioterapici
anticonvulsivanti
agonisti/antagonisti LHRH.
Derivanti da altre condizioni:
alcolismo
fumo
tossicodipendenza
immobilizzazione prolungata
grave disabilità.

Prevenire l’osteoroposi
La diagnosi precoce dell’osteoporosi è molto difficile, in quanto questa patologia non è sintomatica e il più delle volte viene scoperta solo dopo la prima frattura ossea che, di solito, riguarda il femore, le vertebre o i polsi.
Prevenire l’osteoporosi è possibile iniziando fin dalla giovane età a rafforzare la massa ossea che tende a potenziarsi in modo naturale fino ai 26/29 anni ma che poi necessita di un’azione di mantenimento protratto nel tempo.
Per farlo è bene tenere sotto controllo il proprio peso e assicurare il giusto apporto alimentare di calcio a partire già da tutta l’età evolutiva oltre a evitare la sedentarietà che è la grande nemica della robustezza delle ossa. Da non dimenticare è anche l’apporto di vitamina D che può essere garantita da una moderata esposizione al sole, circa 30 minuti al giorno.
Una serie di attenzioni che non devono venire a mancare nemmeno dopo la menopausa o, per gli uomini, in età avanzata, quando l’attività fisica ha la duplice funzione di rafforzare le ossa e rassodare la muscolatura così da prevenire pericolose cadute.

TRATTAMENTI

Il Check-Up osteoporosi è utile per la prevenzione di fratture ossee e si rivolge sia a giovani donne che a donne in post-menopausa, che hanno avuto fratture non dovute a traumi.
Consigliato anche a uomini di età superiore ai 70 anni e a soggetti che hanno subito un trattamento prolungato con farmaci a base di cortisone o che soffrono d’insufficienza renale cronica o di iperparatiroidismo.
Il Check up osteoporosi pensato dal Marrelli Hospital ha l’obiettivo di favorire il trattamento precoce della patologia attraverso esami clinici e strumentali che possano determinare la presenza dell’osteoporosi e il grado di pericolo di frattura dovuta a fragilità, e risalire alla causa identificando determinati condizioni e fattori di rischio.
Il Check-Up si svolge in due fasi: la prima fase del check up richiede l’anamnesi da parte del medico di riferimento, e consiste nella raccolta dei dati riguardanti le abitudini di vita, le malattie presenti e passate, le eventuali terapie farmacologiche e l’esame clinico del paziente. All’anamnesi, segue una serie di accertamenti e visite specialistiche.
In cosa consiste

Si compone dei seguenti controlli:
ESAMI DI LABORATORIO
Esami del sangue – esame urine completo – ricerca sangue occulto nelle feci
ESAMI MEDICI
MOC della colonna lombare e femore
Visita endocrinologica
Come prepararsi all’esame: è richiesto il digiuno dalla mezzanotte;
portare il tesserino sanitario;
Durata: 1 giorno (circa 6 ore);
Servizio Clinico: doppia visita del Medico internista (percorso circolare);
approfondimenti e personalizzazione compresi nel pacchetto;
Servizi aggiuntivi: parcheggio dedicato;
accoglienza riservata;
buono colazione ed eventuale buono pasto;
book di refertazione
eventuale stanza a disposizione nel reparto day hospital;
fornitura di abbigliamento comodo;

Secondo le indicazioni del medico specialista

SINTESI

Il sarcoma è un tumore raro dei tessuti connettivi, cioè di muscoli, cartilagini, vasi sanguigni, nervi, tendini, tessuto adiposo, tessuti sinoviali. Esistono più di 80 diversi tipi di sarcomi dei tessuti molli, il cui comportamento biologico e clinico è molto differente. Per comprendere questa malattia è quindi fondamentale un corretto inquadramento diagnostico ed istologico, poiché quando parliamo di sarcomi non siamo in realtà di fronte ad un’ unica malattia, ma ad un gruppo di tumori anche molto diversi tra di loro.

I sarcomi dei tessuti molli colpiscono più frequentemente gli adulti rispetto ai bambini e agli adolescenti. Circa la metà di tutti i casi sono trattabili e curabili con successo. La percentuale di guarigione del sarcoma dei tessuti molli dipende in particolare da fattori quali:
• il tipo e il grado di aggressività biologica del sarcoma
• le dimensioni del tumore alla diagnosi
• la sede del tumore

In genere, i sarcomi dei tessuti molli non danno luogo ad alcun sintomo nella fase precoce.
Possono crescere in ogni parte del corpo, ma la maggior parte di essi si localizza agli arti inferiori o superiori.
Quando la neoplasia cresce di dimensioni, il paziente nota un rigonfiamento. In alcuni casi, alla tumefazione si associa la comparsa di dolore; questo generalmente si verifica se la neoplasia esercita pressione su nervi o vasi. Seppure capiti raramente nelle fasi di esordio della malattia, i sarcomi che crescono all’interno dell’addome possono provocare anche un sanguinamento o un’occlusione intestinale.

La maggior parte dei sarcomi insorge sporadicamente, in assenza di famigliarità e fattori di rischio noti. Esistono comunque alcuni fattori di rischio che sono stati individuati in casi particolari:
• Malattie di origine genetica come la neurofibromatosi, la sindrome di Gardner, la sindrome di Li-Fraumeni, il retinoblastoma ereditario, la sindrome di Werner, la sclerosi tuberosa.
• Esposizione alle radiazioni in seguito a radioterapia, anche se questi trattamenti sono sempre più sicuri e mirati.
• Il linfedema cronico
• Alcuni tipi di sarcoma, come il Sarcoma di Kaposi, sono causati da virus e si verificano più facilmente in individui immunodepressi.

DIAGNOSI

I sarcomi dei tessuti molli vengono spesso scoperti grazie alla comparsa di un nodulo o di una tumefazione. Il paziente non avverte quasi mai dolore o altri sintomi.

Le indagini diagnostiche possono includere:
Ecografia della sede interessata: è una metodica non invasiva, molto diffusa e utilizzata come prima indagine per differenziare la natura solida o liquida della massa ed eventualmente guidare la biopsia delle lesioni facilmente aggredibili.

Tomografia computerizzata (TAC) con mezzo di contrasto: utilizza radiazioni ionizzanti, è indispensabile nella stadiazione delle forme maligne per riconoscere localizzazioni a distanza della malattia, in particolare a livello polmonare. Si utilizza routinariamente alla prima manifestazione della malattia e nel follow-up dei pazienti dopo terapia. E’ inoltre utilizzata per guidare la biopsia di tutte le lesioni meno accessibili e in genere di quelle addominali o toraciche.
Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) con mezzo di contrasto: è lo strumento diagnostico più attendibile per riconoscere le lesioni e definirne la natura, oltre che per valutarne l’estensione locale e i rapporti con le strutture vicine. E’ quindi uno strumento essenziale per la pianificazione del trattamento chirurgico. L‘attendibilità nel riconoscere piccoli noduli di malattia (nel contesto dei tessuti infiammatori che residuano ai trattamenti cui i pazienti vengono sottoposti) rende la RMN indispensabile nella rivalutazione dei pazienti dopo terapia.
Diagnosi istologica: viene effettuata prelevando, attraverso un ago biopsia, campioni di tessuto che vengono analizzati per classificare il sottotipo istologico ed il grado di aggressività biologica del tumore.
Indagini di biologia molecolare: in alcuni tipi di sarcomi è possibile utilizzare metodiche di biologia molecolare per la conferma diagnostica. Analizzando il DNA infatti è possibile ricercare caratteristiche specifiche di determinati tipi di sarcoma (mediante lo studio di alcuni geni specifici contenuti nel tumore).

Un corretto inquadramento diagnostico, sin dalle prime fasi della malattia, è fondamentale per una corretta impostazione della terapia e quindi per aumentare la probabilità di guarigione dal tumore. Non è corretto sottoporre il paziente ad un intervento chirurgico senza aver prima effettuato le indagini strumentali e la biopsia.

TRATTAMENTO

Il trattamento dei sarcomi dei tessuti molli è multidisciplinare e prevede la combinazione di chirurgia, chemioterapia e radioterapia con l’obiettivo sia di curare il tumore sia di preservare la maggior funzionalità possibile dell’area interessata.

Chirurgia La chirurgia è il trattamento di prima scelta, in particolar modo se il tumore è ancora localizzato nella sua sede primaria. In questo caso, essa ha lo scopo di ottenere il controllo locale della malattia, asportando radicalmente il tumore, con margini di tessuto sano. Poiché il sarcoma può infiltrare i tessuti circostanti e dare origine a noduli a distanza di alcuni centimetri dalla massa principale (noduli satelliti e metastasi skip), viene asportato insieme ai tessuti adiacenti (tessuto adiposo sottocutaneo, muscoli, fasce, segmenti ossei, tratti di vasi arteriosi o venosi, ad esempio vedere l’area tratteggiata nell’immagine sottostante) in modo da garantire dei margini adeguati di tessuto sano intorno al tumore.

Si tratta di un tipo di chirurgia che richiede competenza specifica ed esperienza. Spesso, a causa della posizione in cui questi tumori si sviluppano, si deve intervenire in collaborazione con chirurghi di varie specialità: chirurgia plastica, vascolare, urologica, ginecologica, neurochirurgica, ortopedica, cervico-facciale.

La chirurgia può essere indicata anche in caso di recidiva di malattia o di metastasi a distanza. I farmaci più utilizzati sono le antracicline e l’ifosfamide, singolarmente o in associazione. Altri farmaci correntemente utilizzati sono la dacarbazina, la gemcitabina, i taxani, l’etoposide, la vinorelbina e la trabectedina. Negli ultimi anni la ricerca e la maggior comprensione dei diversi sottotipi istologici ha permesso di indirizzare la scelta del trattamento chemioterapico in modo sempre più mirato. Sono inoltre disponibili nuovi farmaci a bersaglio molecolare che colpiscono alcuni recettori specifici del tumore.

Data la possibilità di recidiva dei sarcomi dei tessuti molli, il paziente viene generalmente sottoposto a periodiche indagini radiologiche e visite mediche di controllo (follow up), che permettono al medico di rilevare le eventuali recidive di malattia.

SINTESI

Si tratta di una neoplasia rara che colpisce più spesso i bambini o i giovani adulti: l’età media alla diagnosi è di circa 16 anni. La famiglia dei sarcomi di Ewing comprende le forme che originano dall’osso (circa l’80%) e quelle che originano dai tessuti molli. I sarcomi di Ewing ossei, colpiscono maggiormente pazienti in età pediatrica, mentre i sarcomi di Ewing extrascheletrici (tessuti molli), attualmente chiamati anche pPNET, sono più frequenti nel giovane adulto.

I pNET/sarcoma di Ewing extrascheletrico ed il sarcoma di Ewing osseo, tipico dell’età pediatrica, presentano caratteristiche cliniche differenti e vengono trattati con protocolli terapeutici diversi.

I sintomi principali del sarcoma di Ewing sono:
• Febbre, anemia, leucocitosi (aumento anormale del numero di leuociti, un tipo di globuli bianchi, nel sangue), dolore, possono essere fra i sintomi del sarcoma di Ewing. Quando localizzata agli arti o al tronco superficiale (ad esempio braccia o gambe) la malattia può determinare un rigonfiamento visibile della zona ammalata.

DIAGNOSI

Il primo segno di sarcoma di Ewing può essere un dolore a un osso o a un’articolazione o la comparsa di una tumefazione che cresce rapidamente.
Le indagine diagnostiche necessarie comprendono:
Radiografia: è una metodica basata sui raggi X, in grado di mostrare la sede e l’estensione della lesione dell’osso ed è caratterizzata dalla massima attendibilità nella diagnosi differenziale fra le diverse possibili lesioni maligne o benigne Ecografia: è una metodica non invasiva, senza alcuna controindicazione, in grado di mostrare la componente extraossea nelle parti molli muscolari o adipose della malattia.
TAC con mezzo di contrasto: genera immagini dettagliate dell’osso malato, è indispensabile per definire la diffusione a distanza del tumore e si utilizza per centrare le biopsie della sede di malattia alla sua presentazione. E’ lo strumento più utile per seguire il paziente dopo i trattamenti nel periodo di controllo ed è in grado di mostrare la sede e le dimensioni del tumore, oltre che la sua eventuale diffusione ad altri organi o tessuti.
Risonanza Magnetica: è la metodica più sensibile per definire il grado di estensione della malattia all’interno dell’osso spugnoso e viene utilizzata nel dubbio di piccole lesioni ossee a distanza oltre che per meglio definire il coinvolgimento delle parti molli extraossee.
Scintigrafia ossea: è una metodica di diagnostica per immagini che si basa sulla somministrazione di radiofarmaci, utile per l’individuazione precoce delle lesioni tumorali scheletriche.
Diagnosi istologica: il medico preleva dei piccoli frammenti del sospetto tumore da analizzare (biopsia). L’anatomopatologo osserva il tessuto al microscopio allo scopo di identificare il tumore, anche mediante l’utilizzo di colorazioni specifiche per quel tipo di neoplasia. In alcuni casi, per una conferma diagnostica, vengono analizzate le caratteristiche del DNA delle cellule tumorali del tessuto attraverso he di biologia molecolare (FISH) per la ricerca di anomalie specifiche dei geni per questo tipo di tumore.

TRATTAMENTO

Il trattamento del sarcoma di Ewing è multidisciplinare e prevede la combinazione di chirurgia, chemioterapia e radioterapia con l’obiettivo sia di curare il tumore sia di preservare la maggior funzionalità possibile dell’area interessata.

Chemioterapia
Il trattamento chemioterapico rappresenta un momento fondamentale nel trattamento di queste neoplasie. Il sarcoma di Ewing è una malattia molto sensibile alla chemioterapia ed il trattamento medico si avvale di più farmaci allo scopo di controllare la diffusione della malattia e ridurne le dimensioni. Per le caratteristiche biologiche del tumore, la chemioterapia è generalmente proposta prima dell’intervento chirurgico. Un trattamento chemioterapico supplementare è spesso indicato anche dopo l’intervento. Nei casi di malattia molto aggressiva può essere considerato un trattamento di chemioterapia ad alte dosi (trapianto autologo di midollo).

Chirurgia
La chirurgia deve sempre essere valutata al termine dei trattamenti chemioterapici. Lo scopo principale è asportare radicalmente il tumore o il residuo di malattia, con dei margini di tessuto sano. La chirurgia richiede sia competenza specifica sia esperienza.
Spesso, a causa della posizione in cui questi tumori si sviluppano, si deve intervenire in collaborazione con chirurghi di varie specialità: chirurgia plastica, vascolare, urologica, ginecologica, neurochirurgica, cervico-facciale, ortopedica.
La chirurgia può essere indicata anche in caso di recidiva di malattia o di metastasi a distanza.

Radioterapia
Può essere impiegata dopo l’intervento chirurgico o nei casi non aggredibili chirurgicamente come trattamento locale esclusivo.

SINTESI

La lombalgia acuta, popolarmente definita anche “colpo della strega”, è un disturbo molto diffuso (si verifica almeno una volta nella vita in circa il 40% delle persone) che può manifestarsi a qualsiasi età e ugualmente in entrambi i sessi.

La lombalgia acuta si caratterizza per la comparsa di “male alla schiena”, cioè un dolore più o meno intenso che colpisce generalmente la parte inferiore del rachide, senza che vi sia una vera irradiazione agli arti inferiori.

Causa di questo dolore può essere legata a un sovraccarico e a un’infiammazione che riguardano generalmente i muscoli, le vertebre e le articolazioni del tronco e del bacino.

Fattori predisponenti della lombalgia acuta sono la degenerazione delle strutture costituenti il rachide, le sue deformità e alterazioni anatomiche, in associazione a sovrappeso corporeo, all’effettuazione di movimenti troppo bruschi e di sforzi eccessivi o male eseguiti.

DIAGNOSI

Nella maggior parte dei casi il dolore derivante da una lombalgia acuta si auto-risolve nel giro di qualche giorno. Qualora il sintomo dovesse mantenersi più a lungo è opportuno rivolgersi al proprio medico curante o a uno specialista per una prima ispezione clinica e per l’identificazione degli eventuali fattori predisponenti.

Di fondamentale importanza è inoltre l’anamnesi dell’insorgenza del disturbo: ad esempio se traumatica, se associata a febbre, se associata ad altri disturbi di natura neurologica o a patologie di base, quale un’osteoporosi.

Se nel corso della visita viene esclusa la presenza di “semafori rossi” (vedi scheda allegata a fondo pagina), il medico curante può prescrivere una terapia farmacologica mentre non sarà necessario un approfondimento diagnostico con radiografia (RX), tomografia computerizzata (TC) o risonanza magnetica (RM) prima che siano trascorse sei settimane con il perdurare del dolore alla schiena.

DIAGNOSI

Il mal di schiena è un disturbo che può essere curato con il riposo, con le medicine e con le terapie conservative, mentre l’intervento chirurgico sarà riservato solo a casi rari e selezionati.

Il medico curante prescrive da subito una terapia per il controllo del dolore e dell’infiammazione.

È pero importante comprendere come la lombalgia acuta nella maggior parte dei casi non sia una patologia grave. Generalmente il dolore e l’impotenza funzionale durano pochi giorni, dopo di che è raccomandabile riprendere le normali attività della vita quotidiana e, nei limiti del dolore, rimanere attivi mantenendo le posture corrette, evitando così che il dolore possa cronicizzarsi.

SINTESI

Il mal di schiena è un sintomo doloroso che colpisce circa 8 persone su 10, uomini e donne in egual misura, con esordio prevalente nella fascia d’età compresa tra i 30 e i 50 anni, spesso invalidante con l’avanzare dell’età. Il mal di schiena è la più frequente causa di accesso agli ambulatori di medicina generale e di assenza lavorativa.

Esitono tipi diversi di mal di schiena, in funzione della localizzazione del dolore:
• cervicalgia: il dolore interessa la parte alta della colonna vertebrale
• dorsalgia: il dolore si irradia alle scapole, arcate costali, fino allo sterno
• lombalgia: il dolore interessa un’area compresa tra il limite inferiore delle coste e il gluteo, con possibili irradiazioni alla faccia posteriore della coscia, ma non oltre il ginocchio
• lombocruralgia: il dolore coinvolge la faccia anteriore della coscia
• lombosciatalgia: il dolore si irradia sotto al ginocchio fino al piede.

Nella maggior parte dei casi il mal di schiena si manifesta e si risolve nell’arco di poche ore. Se il dolore perdura per più di tre giorni è opportuno consultare il medico di famiglia.

È opportuno altresì consultare subito il medico nei casi in cui il mal di schiena sia conseguenza di un trauma, sia associato a dolori addominali, si accompagni a febbre alta, a formicolio alle gambe, a diminuzione di peso, a debolezza e ad arrossamento alla schiena.

Cause del mal di schiena
In oltre il 95% dei pazienti, il mal di schiena dipende da un uso scorretto, occasionale o protratto nel tempo, della colonna vertebrale.

DIAGNOSI

Nel corso della visita per il mal di schiena il medico per prima cosa interroga il paziente su quali siano le caratteristiche del sintomo, quindi esamina il paziente, ne valuta la capacità di stare in piedi, seduto e di camminare, analizza la colonna in toto e la zona interessata dal dolore. In assenza di complicanze neurologiche, il medico curante prescrive una terapia per il controllo del dolore. Non è da subito necessario un approfondimento diagnostico mediante radiografia (RX) convenzionale, tomografia computerizzata (TC) o risonanza magnetica (RM), che vengono prescritti solo dopo 6 settimane di terapia antalgica (del dolore) inefficace.

TRATTAMENTO

L’obiettivo della cura del mal di schiena è combattere il dolore e individuare le cause che l’hanno provocato. Su stretta prescrizione del medico sarà avviata una terapia farmacologica con anti dolorifici e anti infiammatori. Con il fine di stimolare la ripresa dell’attività di tutti i giorni, il medico può anche prescrivere manipolazioni e massaggi che possono essere d’aiuto nell’alleviare i sintomi.

SINTESI

La colonna vertebrale può essere interessata da varie forme di neoplasie. Nella maggior parte dei casi si tratta di metastasi che originano da tumori primitivi in altre parti del corpo, in particolare polmone, mammella, rene, prostata, tiroide, colon.

Il segmento di rachide più frequentemente colpito da tumori è quello dorsale e l’età media varia fra i 55 e i 60 anni. Esistono poi i tumori primitivi che hanno origine di varia natura (ossea, cartilaginea, fibrosa, vascolare, adiposa, meningea, nervosa), con comportamento benigno o più raramente maligno e che si distinguono in base alla loro sede di origine in:
• extra-durali (osteoma, osteosarcoma, condroma, condrosarcoma, sarcoma di Ewing, mieloma, plasmocitoma, emangioma, emangiopericitoma, lipoma, fibroma, fibrosarcoma, cordoma, cisti aneurismatica dell’osso, granuloma eosinofilo),
• intra-durali extra-midollari (meningioma, neurinoma),
• intra-durali intra-midollari (astrocitoma, astrocitoma anaplastico, ependimoma).

Oltre il 70% dei tumori spinali primitivi è rappresentato da meningiomi e neurinomi; sono più frequentemente colpite le donne, intorno ai 50 anni. I tumori intramidollari sono invece più rari, colpiscono più frequentemente il giovane adulto e nella metà dei casi sono di natura maligna.

Il primo sintomo dei tumori vertebro-midollari a comparire è solitamente il dolore alla colonna, percepito come sordo, continuo e spesso associato a contrattura muscolare antalgica. Possono poi comparire:
• dolori radicolari agli arti superiori e inferiori da compressione delle radici spinali,
• deficit motori e/o sensitivi da compressione midollare,
• disturbi sfinterici da interessamento del cono midollare.

L’evoluzione dei disturbi può essere lenta in caso di neoplasie benigne, con ingravescenza della durata anche di anni. La sintomatologia può tuttavia comparire acutamente in caso di frattura vertebrale patologica, condizione clinica grave sia per la difficile reversibilità dei sintomi neurologici in caso di compressione midollare, sia per il verificarsi di uno stato di instabilità della colonna.

DIAGNOSI

L’indagine diagnostica di primo livello relativa ai tumori vertebro-midollari è sempre la risonanza magnetica (RM) mirata al tratto di colonna che più probabilmente può essere interessato dalla neoplasia, in base alla valutazione clinica del paziente.

Ulteriori approfondimenti diagnostici sono rappresentati dalla tomografia computerizzata (TC) per i tumori ossei, l’angiografia spinale per i tumori vascolari o fortemente vascolarizzati, a scopo sia diagnostico sia interventistico pre-operatorio (devascolarizzazione mediante embolizzazione).

La sofferenza neurologica, quando presente, va quantificata mediante studi funzionali, quali l’elettromiografia e i potenziali evocati somatosensoriali e motori.

TRATTAMENTO

Il trattamento chirurgico dei tumori vertebro-midollari rappresenta il trattamento di scelta nelle forme benigne e in caso di urgenza clinica, ovvero il verificarsi di sintomi neurologici acuti da compressione midollare. Le neoplasie maligne non acutamente sintomatiche che più frequentemente vengono sottoposte a trattamento chirurgico sono le metastasi, se la localizzazione è unica e se la malattia di base è ragionevolmente ben controllata (aspettanza di vita del paziente di almeno sei mesi).

Scopo della chirurgia è l’asportazione completa della neoplasia, il ripristino della stabilità della colonna e il buon controllo del dolore. Gli interventi chirurgici possono andare dalla semplice decompressione mielo-radicolare, alla decompressione associata a stabilizzazione con mezzi di sintesi o essere molto demolitivi, con resezione e sostituzione di parti intere della colonna.

Esistono poi forme tumorali che rispondono al trattamento radio o chemioterapico come prima scelta o in associazione alla chirurgia. Nel caso delle neoplasie intramidollari la chirurgia non è quasi mai demolitiva, ma ha il maggior numero di insuccessi in termini di disabilità neurologica temporanea o permanente, soprattutto per le forme maligne infiltranti, che sono inoltre gravate da un’elevata percentuale di recidive.

SINTESI

Con il termine cifosi si indica la curvatura della parte alta della colonna vertebrale in senso antero-posteriore e a concavità anteriore: quella modificazione a carico della schiena, cioè, comunemente conosciuta come “gobba”.

Un leggero grado di curvatura della parte alta della schiena è fisiologico, ma il termine cifosi di solito viene utilizzato per indicare una curvatura eccessiva. Nei casi più gravi la cifosi può coinvolgere i polmoni, i nervi e altri tessuti e organi, provocando dolore e altri problemi.

La cifosi si verifica quando le vertebre nella parte superiore della schiena diventano più schiacciate tra loro. Le cifosi possono essere congenite (dovute a malformazioni delle vertebre) o acquisite (come conseguenza, ad esempio, di processi patologici tra cui rachitismo, tumori, lesioni ossee vertebrali o dei muscoli paravertebrali).

Tra le cause acquisite si evidenziano:
• l’osteoporosi: l’indebolimento del tessuto osseo può facilitare lo schiacciamento delle vertebre;
• la degenerazione dei dischi intervertebrali, le strutture che fungono da cuscinetti tra una vertebra e l’altra (che può essere dovuta all’età, ma anche a cause traumatiche);
• la presenza di tumori alla colonna vertebrale;
• trattamenti anti-tumorali che possono indebolire il tessuto osseo della colonna vertebrale;
• la reiterazione di difetti posturali: una curvatura eccessiva nella parte superiore della colonna vertebrale può essere causata anche da difetti posturali (comune negli adolescenti).

Tra le cause congenite si evidenzia la malattia di Scheuermann o cifosi osteocondrosica: malattia che esordisce in età adolescenziale caratterizzata dallo schiacciamento di almeno tre vertebre vicine e accompagnata talvolta da dolore localizzato al tratto dorsale o dorsolombare.

Oltre a una eccessiva curvatura in avanti della parte superiore della colonna vertebrale, la cifosi può anche causare mal di schiena. Nei casi più gravi la cifosi può coinvolgere i polmoni, i nervi e altri tessuti e organi, provocando dolore e altre problematiche di vario tipo.

Per prevenire l’insorgenza della cifosi è bene evitare tutte quelle condizioni che possono portare al suo sviluppo e su cui si può intervenire. È bene quindi prevenire:
• l’insorgenza dell’osteoporosi attraverso un sano stile di vita, un’alimentazione equilibrata e periodici controlli, soprattutto nel caso di menopausa e di familiarità del disturbo;
• la degenerazione dei dischi intervertebrali, evitando traumi alla colonna vertebrale e mantenendo un buon tono muscolare della schiena e dell’addome;
• i difetti posturali: particolare attenzione deve essere posta dai ragazzi in età scolare per le errate posizioni assunte durante lo studio e da tutti coloro che svolgono lavori cosiddetti “da scrivania”.

DIAGNOSI

Oltre a una visita completa, per effettuare la diagnosi di cifosi il medico può richiedere che vengano effettuati i seguenti esami:
• Radiografia: per determinare il grado di curvatura e rilevare deformità delle vertebre;
• Tac: per vedere le immagini della cifosi da diverse angolazioni e per ottenere le immagini delle strutture interne;
• Risonanza magnetica: per escludere la presenza di tumori o infezioni;
• In caso di intorpidimento o debolezza muscolare il medico può richiedere la sottoposizione a diversi test sui nervi in grado di determinare quanto bene gli impulsi nervosi viaggino tra il midollo spinale e gli arti;
• In caso di cifosi grave potrebbe essere necessario un test della funzionalità polmonare per capire se il disturbo influisce sulla capacità di respirare.

TRATTAMENTO

Il trattamento della cifosi dipende dalla causa e dai sintomi presenti.
Quanto ai farmaci possono essere impiegati antidolorifici o farmaci per l’osteoporosi (in molte persone la presenza di cifosi è il primo indizio di osteoporosi).
L’allungamento muscolare (stretching) può migliorare la flessibilità della colonna vertebrale e gli esercizi che rafforzano i muscoli addominali e dorsali possono aiutare a migliorare la postura.
Ai bambini con malattia di Scheuermann viene in genere fatto indossare un tutore mentre le ossa sono ancora in crescita, così da cercare di contenere la cifosi.
Se la cifosi è molto grave e in particolare se va a comprimere nervi, il medico potrebbe suggerire un intervento chirurgico per ridurre il grado di curvatura. La procedura più comune è detta fusione spinale, attraverso cui due o più vertebre vengono fissate tra loro permanentemente.

SINTESI

L’ernia del disco è una condizione che può essere molto dolorosa e si verifica quando la parte gelatinosa tra le singole vertebre della colonna vertebrale fuoriesce dalla sua sede naturale e, infilandosi tra i dischi, provoca un’infiammazione dei nervi.

Il problema è causato dalla rottura della parte più esterna e dura che contiene il cuscinetto gelatinoso, che può verificarsi in seguito a usura e invecchiamento, traumi o movimenti anomali come la torsione della schiena, la rottura della parte esterna determina la fuoriuscita del materiale tra una vertebra e l’altra, causando l’irritazione dei nervi che circondano la colonna e, quindi, un dolore spesso insopportabile, con o senza movimento.

L’ernia del disco è il risultato di una graduale usura delle strutture della colonna vertebrale, dovuta all’età e all’invecchiamento, tipica anche, ma non solo, di lavori e professioni pesanti.

I dischi intervertebrali, con il tempo, perdono il loro contenuto acquoso e questo ne determina una minore resistenza e flessibilità. Ci sono poi della cause traumatiche o violente che possono determinare un’ernia, come attività sportive (sollevamento pesi), il trasporto di oggetti pesanti, scatti e torsioni eccessive, cadute sulla schiena.

L’ernia del disco non è sempre necessariamente dolorosa. I sintomi variano a seconda dell’età e del punto in cui si è formata l’ernia. In generale includono:
• Dolore, spesso molto intenso e tale da non permettere nessun movimento o sforzo. Può verificarsi a carico delle gambe o delle braccia a seconda del punto di rottura del disco, rispettivamente nella parte finale della colonna (lombare) o iniziale (cervicale).
• Intorpidimento e formicolìo, caratterizzati da una sensazione di risposta debole o assente degli arti o di un fastidio.
• Debolezza, che determina difficoltà a muoversi o ad afferrare oggetti.
• In alcuni casi l’infiammazione dei nervi, generalmente nella parte lombare della schiena, può interferire con il funzionamento della vescica o intestinale.

La prevenzione dell’ernia del disco si attua attraverso uno stile di vita sano che comprende esercizio fisico moderato e regolare, il mantenimento di un peso normale e un’alimentazione senza troppi grassi. È ovviamente necessario evitare sport usuranti o sforzi eccessivi, come quando si sollevano o trasportano pesi. Una buona postura è utile a prevenire alterazioni della colonna vertebrale che possono portare all’ernia.

DIAGNOSI

Per la diagnosi di ernia del disco è generalmente sufficiente un’accurata visita dell’ortopedico. Tuttavia, in alcuni casi, può essere necessario ricorrere ad altri esami, quali:
• Radiografie, quando si vuole escludere la presenza di altre patologie;
• TAC, per una valutazione complessiva della struttura;
• Risonanza magnetica (RM), che permette di valutare la posizione dell’ernia e il suo contatto con i nervi.
• Possono essere necessari anche studi specifici come il test della conduzione nervosa o elettromiografia, che misurano la qualità e quantità degli impulsi nervosi.

TRATTAMENTO

Il trattamento dell’ernia del disco dipende da molti fattori. Inizialmente si tende a intervenire in maniera meno invasiva, con farmaci adatti, in attesa di una possibile stabilizzazione della condizione dolorosa. In caso contrario potrebbe essere necessario prendere in considerazione l’intervento chirurgico.

La terapia può, quindi, includere:
• Antidolorifici, tra i quali Fans, narcotici od oppioidi, che alleviano il dolore connesso all’ernia del disco, ma il cui uso, come per tutti i farmaci, non può essere troppo prolungato e non è privo di effetti collaterali.
• Farmaci mio-rilassanti o che inibiscono la sensazione dolorosa associata al danno ai nervi. Sono farmaci molto diversi tra di loro, adoperati di frequente nel trattamento dell’ernia del disco. Talvolta, vengono impiegati antidepressivi, per il loro effetto nei confronti della sintomatologia dolorosa.
• Farmaci corticosteroidi, a base di cortisone con una potente azione antinfiammatoria a cui, tuttavia, si può far ricorso per periodi limitati.

Il trattamento dell’ernia del disco, in alcuni casi selezionati, può essere attuato anche attraverso altri metodi:
• Fisioterapia, per controllare attraverso esercizi mirati e ripetuti nel tempo l’origine del dolore e tendere a stabilizzare l’ernia.
• Ultrasuoni, che mediante il calore tentano di minimizzare gli effetti dolorosi dell’ernia.
• Elettrostimolazione, che può dare qualche beneficio riducendo la sensazione dolorosa.
• Talvolta può essere necessario ricorrere all’intervento chirurgico.

SINTESI

L’artrite psoriasica è una malattia infiammatoria cronica a carico delle articolazioni che colpisce prevalentemente le articolazioni in soggetti che presentano segni della malattia cutanea chiamata psoriasi o che hanno sorelle/fratelli, padre/madre o figli con questa malattia. La psoriasi causa la comparsa di chiazze rosse con al di sopra placche bianche, soprattutto a livello di gomiti, ginocchia, caviglie, mani e piedi, ma può colpire anche in modo lieve la cute dietro alle orecchie, il cuoio capelluto o la piega tra i glutei. La maggior parte delle persone sviluppa prima la psoriasi e in seguito l’artrite, ma in alcuni casi può accadere il contrario. La malattia colpisce più frequentemente tra i 30 e i 50 anni e in ugual modo donne e uomini.

Non si conosce ancora la causa dell’artrite psoriasica, ma si sa che si verifica quando il sistema immunitario attacca cellule normali dell’organismo, provocando infiammazione delle articolazioni e produzione eccessiva di cellule della pelle. Non si conoscono i motivi che causano la reazione del sistema immunitario contro cellule normali, ma si ipotizza che fattori genetici e ambientali, come alcune infezioni, giochino un ruolo in persone predisposte.

I sintomi tipici dell’artrite psoriasica sono dolore, gonfiore e rigidità delle articolazioni. Le articolazioni più colpite sono quelle delle mani e della colonna vertebrale. I sintomi possono essere lievi o gravi e, come nella psoriasi, possono alternarsi a periodi di remissione, in cui l’artrite si risolve spontaneamente. Le manifestazioni cliniche e le modalità di presentazione dell’artrite psoriasica possono essere estremamente varie: in alcuni casi il dolore, il gonfiore e la rigidità delle articolazioni (indicata come stiffness) possono essere simmetrici, cioè da entrambe le parti del corpo, sembrando così più simili ai sintomi dell’artrite reumatoide, ma nella maggior parte dei casi le manifestazioni più tipiche sono:
• dolore e gonfiore alle dita delle mani e dei piedi, con un aspetto a salsicciotto (dattilite);
• dolore e infiammazione nel punto in cui i tendini e i legamenti si connettono all’osso (entesite): le sedi più frequentemente interessate sono il tallone (tendinite Achillea) o la pianta del piede (fascite plantare).
• dolore lombare con carattere infiammatorio o dolore gluteo correlati alla comparsa di un’infiammazione delle articolazioni tra le vertebre (spondilite) e delle articolazioni sacroiliache (sacroilieite).

Sia la psoriasi sia l’artrite psoriasica sono malattie croniche in cui si alternano periodi in cui i sintomi peggiorano (flare) e periodi in cui invece la malattia è in remissione.
L’artrite psoriasica può inoltre coinvolgere altri organi del corpo, come occhi, cuore, polmoni e reni.

DIAGNOSI

La diagnosi viene posta dal medico sulla base dei sintomi del paziente, sulla sua storia clinica e alcuni esami di laboratorio.
Non esiste però un esame che possa confermare la presenza della malattia, ma alcuni esami possono aiutare a escludere altre forme di artrite, come l’artrite reumatoide o la gotta.

Gli esami di laboratorio vanno a indagare lo stato di infiammazione generale del paziente, in genere attraverso la PCR. È importante sapere però che la PCR può alzarsi per qualsiasi stato infiammatorio che sia in atto in un determinato momento nel paziente, per esempio un’infezione. Nel 50% circa dei pazienti con artrite psoriasica con interessamento della colonna vertebrale è presente il gene HLA-B27, che può essere ricercato attraverso un esame del sangue. Quando sono colpite una o due grandi articolazioni, come il ginocchio, può essere prelevato il liquido sinoviale (il fluido contenuto nell’articolazione) attraverso un’artrocentesi. Gli esami radiologici sono importanti per verificare lo stato delle articolazioni coinvolte. Le indagini più importanti sono la radiografia (per studiare le ossa, ma solo nelle fasi più avanzate), l’ecografia (per studiare articolazioni e strutture periarticolari – es. tendini, borse) e la Risonanza Magnetica Nucleare RMN (per studiare ossa e articolazione anche in fase precoce ed i tessuti molli).

Dal momento che l’artrite psoriasica può portare alla perdita di massa ossea può essere inoltre indicato eseguire una Mineralometria Ossea Computerizzata (MOC) per valutare la presenza di osteoporosi.

TRATTAMENTI

Oggi le terapie per la malattia includono:
farmaci tradizionali, quali il methotrexate, la leflunomide e la sulfasalazina,
farmaci biologici diretti a bloccare il TNF alfa, molecola centrale dell’infiammazione.

Sono attualmente in fase di sviluppo numerose terapie dirette contro altre molecole dell’infiammazione (citochine). È importante farsi visitare da un medico se si ha psoriasi e si sviluppano dolori alle articolazioni, perché la malattia può danneggiare molto gravemente le articolazioni causando una disabilità permanente.
Con le terapie attuali si possono non solo controllare i sintomi ma anche prevenire il danno irreparabile alle articolazioni.

SINTESI

L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica sistemica che colpisce le articolazioni sia piccole che grandi, queste diventano dolenti, tumefatte e vanno deformandosi con il tempo. Può coinvolgere anche altri organi e apparati come il polmone, le sierose, l’occhio, la cute e i vasi. Interessa soprattutto le donne tra i 40 e i 50 anni.

Esistono due varianti particolari e rare di Artrite Reumatoide:
il morbo di Felty, caratterizzato da ingrandimento della milza, riduzione dei granulociti neutrofili all’emocromo e febbre;
la sindrome di Kaplan: una pneumoconiosi polmonare.

L’Artrite Reumatoide colpisce più frequentemente le donne, soprattutto fra i 40 e i 50 anni. La prevalenza è stimata intorno all’1% della popolazione generale adulta e possono verificarsi casi di familiarità, ma più spesso è una malattia sporadica.
Le articolazioni vengono generalmente interessate in maniera simmetrica e aggiuntiva; a essere colpite sono in genere le piccole articolazioni delle mani e dei piedi, ma qualsiasi articolazione diartrodiale (cioè dotata di membrana sinoviale) può essere coincolta. Più frequentemente l’infiammazione è poliarticolare, ossia interessa più di quattro articolazioni, e, se non trattata o non responsiva ai trattamenti, può provocare erosioni ossee e deformità.
Una delle caratteristiche cliniche della malattia è la rigidità articolare prevalentemente al mattino, che può durare anche per molte ore. Per quanto concerne l’interessamento sistemico la malattia può causare fibrosi polmonare, sierositi, vasculiti, nodulosi cutanea e degli organi interni, episcleriti e scleriti, amiloidosi.

DIAGNOSI

Le indagini per la diagnosi di malattia e per la ricerca e stadiazione dell’impegno d’organo comprendono, oltre all’esecuzione di esami ematici per la ricerca del Fattore Reumatoide e degli anticorpi anti-CCP, anche il dosaggio degli indici di infiammazione (VES, PCR) e inoltre:
ecografia, radiografia e RMN articolari: per evidenziare versamento articolare, ipertrofia sinoviale, borsiti/tenosinoviti, erosioni ossee;
densitometria (MOC): per lo studio della densità minerale ossea.

In caso di interessamento extra-articolare:
spirometria, DLCO, TC torace ad alta risoluzione per lo studio dei polmoni;
ecocardiogramma per lo studio del cuore.

TRATTAMENTO

Il trattamento dell’Artrite Reumatoide si basa sull’uso di immunosoppressori, come il methotrexate o la leflunomide; in casi particolari si possono utilizzare anche idrossiclorochina, ciclosporina, sulfasalazina. È previsto inoltre l’uso di cortisone a cicli nelle fasi di maggiore attività di malattia, ad esempio all’esordio o nei flare, per ottenere più rapidamente la risposta clinica, e di FANS per il controllo del dolore.

Nei casi non responsivi agli immunosoppressori o in pazienti con malattia particolarmente aggressiva è possibile utilizzare i farmaci biologici, anticorpi monoclonali o recettori che bloccano molecole dell’infiammazione (es anti-TNFalpha, anti-IL6, anti-IL1) o cellule dell’infiammazione come i linfociti B (anti-CD20) e i linfociti T (CTLA4).

SINTESI

L’artrite settica consiste nell’infezione di un’articolazione dovuta alla presenza di microrganismi patogeni all’interno del liquido sinoviale (o articolare) che normalmente è sterile.

L’artrite settica colpisce spesso una sola articolazione, causando intenso dolore, rossore e gonfiore dell’articolazione. Il ginocchio è l’articolazione più colpita, seguita dall’anca, mentre in minore misura possono essere colpite spalla, polso, gomito e caviglia. Nella maggior parte dei casi viene interessata una sola articolazione alla volta, anche se può capitare che gli agenti patogeni si diffondano contemporaneamente a due o più articolazioni.

La causa più frequente di artrite settica è un’infezione batterica, in particolare lo Staphylococcus aureus (stafilococco) è il germe più comunemente isolato. L’artrite settica può svilupparsi quando un’infezione presente nell’organismo si diffonde, attraverso il flusso sanguigno, a un’articolazione. Può verificarsi anche quando, attraverso una ferita, i germi entrano direttamente all’interno dell’articolazione. I soggetti più a rischio sono i bambini e gli anziani.

I sintomi dell’artrite settica sono il gonfiore, rossore e calore delle articolazioni, anche associate a febbre e brividi.

DIAGNOSI

Oltre a un attento esame obiettivo, gli esami diagnostici maggiormente utilizzati per individuare l’artrite settica prevedono:
• analisi di un campione di liquido sinoviale prelevato con un ago direttamente all’interno dell’articolazione;
• esami del sangue;
• esami radiologici.

TRATTAMENTO

Il trattamento deve essere il più tempestivo possibile per impedire l’insorgere di danni irreversibili e il diffondersi dell’infezione nel sangue. Si consiglia in genere di eseguire:
• il drenaggio dell’articolazione infetta;
• la somministrazione di antibiotici (generalmente per via endovenosa in un primo momento, per poi passare alla somministrazione per bocca), nel caso dell’artrite settica batterica.

SINTESI

La borsite è una condizione dolorosa che interessa le piccole sacche (o vescichette) ripiene di liquido, chiamate “borse”, che proteggono le articolazioni e anche altre parti anatomiche. Le borse si possono trovare tra ossa e tendini, ma anche fra diversi piani tendinei, fasciali o muscolari; in tal modo possono fungere da ammortizzatori naturali, rendendo fluido il movimento e assicurando la protezione delle diverse strutture interessate, che altrimenti andrebbero incontro a usura e traumi, scatenando infiammazione e dolore. Le borse più esposte al rischio di infiammazione sono quelle della spalla, del gomito, del ginocchio e dell’anca. Quando si infiamma il liquido sieroso (liquido sinoviale) all’interno delle borse, si ha una condizione patologica chiamata borsite, con sintomi dolorosi che rendono difficile o impossibile il movimento.

Le borsiti si dividono in borsiti infiammatorie ed emorragiche. Le prime consistono in uno stato infiammatorio di questi piccoli sacchetti ripieni di liquido, causato da movimenti ripetuti, che li sottopongono a sollecitazioni e sfregamenti. Nel primo tipo di borsiti si annoverano anche le borsiti causate dal deposito di cristalli di urea (in pazienti affetti da iperuricemia) o in seguito a una infezione virale o più di frequente batterica (in tal caso si deve parlare più propriamente di borsite settica). Nel secondo caso, generalmente a seguito di trauma, si determina uno stravaso di sangue per rottura di vasi, con conseguente raccolta ematica all’interno della borsa stessa.

Le cause della borsite possono essere diverse:
• stress meccanici, causati da movimenti ripetuti, sfregamento, attrito;
• patologie sistemiche, come artrite reumatoide o gotta, che possono interferire con la composizione del liquido sinoviale;
• infezioni batteriche o virali che possono attaccare le borse;
• traumi, come cadute e incidenti in cui la pressione violenta esercitata sulle borse ne può provocare la rottura o l’irritazione.
• L’invecchiamento e lavori o hobby usuranti, che prevedono sempre lo stesso movimento, tipico ad esempio di musicisti o artigiani, sono fattori di rischio che moltiplicano la probabilità di soffrire di borsite.

I sintomi della borsite sono:
• dolore, amplificato dal movimento o dalla pressione;
• arrossamento e gonfiore;
• presenza di lividi (ecchimosi o ematomi) che corrispondono a piccoli versamenti di sangue;
• eruzioni cutanee;
• febbre (in caso di infezione o importante versamento di sangue)

La prevenzione della borsite è indispensabile soprattutto per quei pazienti che ne hanno già sofferto, per evitare che il problema si presenti nuovamente:
• Evitare la pressione sui gomiti quando ci si appoggia alla scrivania;
• Usare delle imbottiture specifiche per proteggere le ginocchia e piegare le gambe quando ci si alza o si solleva un peso, specie in corso di attività • lavorative ripetute e pesanti;
• Evitare sforzi eccessivi o di sollevare carichi troppo pesanti;
• Correre su superfici adeguate;
• Riscaldare sempre i muscoli prima di ogni esercizio fisico e dello sport, allenare il corpo all’equilibrio e al mantenimento di una corretta postura; • Non fare movimenti ripetuti o tenere la stessa posizione troppo a lungo;
• Cercare di evitare il sovrappeso corporeo;

Se la causa della borsite non è apparentemente riconducibile a una causa traumatica, è utile rivolgersi al medico per ricercare eventuale patologia correlata (es. gotta, artrite reumatoide, etc)

DIAGNOSI

Per sospettare la diagnosi di borsite è generalmente sufficiente una visita specialistica, che permette di identificare i segni e i sintomi del problema. È comunque indicato approfondire con ulteriori indagini, di tipo strumentale:
• Radiografie, per verificare o escludere la presenza di fratture o alterazioni di altra natura a livello dell’osso;
• Ecografia, di fondamentale importanza per confermare la natura e il contenuto della borsa, così, come per valutare il coinvolgimento di altre strutture adiacenti interessate dall’infiammazione.
• Risonanza Magnetica Nucleare, nei casi in cui gli esami precedenti non siano stati in grado di chiarire il quesito diagnostico.
• Esami del sangue ed eventualmente analisi del liquido sinoviale, per chiarire la causa della borsite, composizione del liquido e la presenza di eventuali agenti patogeni responsabili dell’infezione.

TRATTAMENTI

Il trattamento della borsite differisce in funzione della severità del quadro clinico e la presenza di eventuali complicazioni. Se la borsite è di grado leggero è solitamente sufficiente l’uso della borsa del ghiaccio, osservare un periodo di riposo, associati a un farmaco antiinfiammatorio per ridurre flogosi e dolore, così come una benda elastica compressiva per contenere il disagio provocato dai movimenti.

In alcuni casi può essere necessario procedere all’aspirazione del liquido sinoviale contenuto nella borsa infiammata, ed eventualmente all’iniezione (infiltrazione) di corticosteroidi direttamente nella borsa, in modo da spegnere la flogosi e ridurre il rischio che si formi nuovamente.
Gli antibiotici sono necessari, se l’esame clinico e gli esami del sangue indicano la presenza di un’infezione, così come anche, in taluni casi, per prevenire l’insorgenza della stessa.
In associazione al controllo dell’infiammazione e dolore con i farmaci, la terapia della borsite può prevedere anche applicazioni di terapie fisiche locali (come per esempio laserterapia, crioterapia o ultrasuoni).
In taluni casi più severi, specie se recidivanti o di difficile risoluzione, può essere indicata l’asportazione chirurgica della borsa infiammata. È fondamentale, nei casi in cui non vi sia una chiara origine traumatica (diretta o da trauma ripetuto), escludere eventuali patologie concomitanti da curare (es. gotta o artrite reumatoide).

SINTESI

La dattilite è un disturbo caratterizzato dal gonfiore di uno o più dita di mani e piedi causato da un’infiammazione sottostante. L’infiammazione colpisce soprattutto le strutture molli tendinee che circondano le ossa, causando un quadro di sinovite, tenosinovite ed entesite.

A volte può capitare che processi infiammatori portino le dita di mani e piedi a gonfiarsi in modo omogeneo assumendo un aspetto “a salsicciotto”. Questa condizione, definita dattilite, può coinvolgere anche più di un dito contemporaneamente e rende difficile l’uso delle dita.

Una delle cause più frequenti di dattilite è l’artrite psoriasica. Altre malattie che possono portare all’infiammazione e al rigonfiamento delle dita sono l’anemia falciforme, la tubercolosi, la sindrome di Reiter, infezioni da Treponema pallidum o da streptococco, l’artrite cronica giovanile, la lebbra, la sarcoidosi e l’artrite gonococcica.

I sintomi principali della dattilite sono il gonfiore omogeneo di uno o più dita delle mani e dei piedi, caratterizzate anche da dolore e difficoltà di utilizzo delle articolazioni coinvolte. A volte può comparire anche la febbre e oltre alla dattilite possono esserci sintomi quali lombalgia e psoriasi.

Il modo migliore per prevenire la comparsa della dattilite è trattare adeguatamente le patologie che possono portare alla sua comparsa e soprattutto escludere le patologie infettive che possono essere responsabili della dattilite prima di iniziare un eventuale trattamento immunosoppressivo.

DIAGNOSI

La diagnosi si basa sull’osservazione delle dita da parte del medico, che chiederà informazioni sulla storia medica del paziente e prescriverà opportune analisi del sangue.

TRATTAMENTO

Nei casi di dattilite in cui il gonfiore è lieve un aiuto può arrivare dall’assunzione di antinfiammatori per contrastare sia l’infiammazione che il dolore a essa associato. Nei casi più gravi sarà invece necessario assumere terapie (es. immunosoppressori) contro la patologia di base che ha scatenato la dattilite, come per esempio l’artrite psoriasica, oppure antibiotici se la causa della dattilite è infettiva.

SINTESI

La fibromialgia è una patologia caratterizzata da dolori muscolari diffusi associati ad affaticamento, rigidità, problemi di insonnia, di memoria e alterazioni dell’umore. Anche se non esiste una vera cura per questo problema, sia i farmaci, sia un approccio mirato al rilassamento e alla riduzione dello stress possono aiutare ad alleviare i sintomi.

La fibromialgia colpisce più spesso le donne in età adulta. Il disturbo può comparire in modo graduale e aggravarsi con il passare del tempo, oppure può comparire dopo un evento scatenante come un trauma fisico, un’infezione o uno stress psicologico.

Le cause esatte dell’insorgenza della fibromialgia non sono note. Gli esperti ritengono che sia un insieme di fattori a portare alla comparsa dei suoi sintomi, inclusi fattori genetici, infettivi, ormonali, traumi fisici e psicologici. L’ipotesi più accreditata è che a essere compromesso sia il modo in cui il cervello processa il dolore. In particolare, in chi soffre di fibromialgia la soglia del dolore sarebbe più bassa della norma a causa di un aumento della sensibilità cerebrale agli stimoli dolorosi. Quello associato alla fibromialgia è un dolore sordo e costante, in genere proveniente dai muscoli, che riguarda varie sedi corporee a distribuzione simmetrica. Questo dolore si acuisce quando è esercitata una pressione intensa su specifici punti del corpo, detti punti sensibili o tender points, e viene valutata con un punteggio che permette di ottenere una diagnosi di certezza.

Non esistono misure preventive nei confronti della fibromialgia.

DIAGNOSI

La diagnosi di fibromialgia prevede la persistenza di dolore diffuso in sedi corporee simmetriche da almeno tre mesi, associato alla positività di almeno 11 dei 18 punti sensibili. È però necessario accertarsi che il dolore non sia associato a nessun’altra patologia sottostante, per cui si possono prescrivere analisi per escludere la presenza di altre malattie, tra cui esami ematici completi che valutino anche il quadro autoimmune.

TRATTAMENTO

Il trattamento della fibromialgia prevede sia l’assunzione di farmaci, sia cambiamenti dello stile di vita, ed è sempre mirato alla riduzione dei sintomi e al miglioramento dello stato di salute generale. Purtroppo non esiste una cura definitiva e attualmente si consiglia l’approccio multifattoriale per ottenere i migliori risultati.

Fra i farmaci che possono essere prescritti sono inclusi analgesici, antidepressivi e antiepilettici, con risultati variabili tra i vari pazienti. Inoltre si consiglia di avviare un counseling psicologico e di utilizzare tecniche di rilassamento che aiutino ad affrontare lo stress.

SINTESI

Lussazione deriva dal latino luxus e significa “andato fuori posto, slogato“. Si parla di lussazione quando, all’interno di una articolazione, i capi articolari si spostano dalla loro posizione fisiologica in modo persistente. La lussazione è detta completa quando le superfici dei capi articolari interessati dall’infortunio arrivano a non toccarsi più, mentre si definisce incompleta quando tra le superfici articolari viene mantenuto un rapporto di contatto. Le lussazioni possono essere classificate in base alla loro causa: le lussazioni possono quindi essere traumatiche, congenite e patologiche.

La lussazione può interessare tutte le articolazioni, ma quelle più frequentemente interessate sono la spalla e le dita, seguite da gomito, ginocchia e fianchi.

Le lussazioni più frequenti sono quelle causate da traumi. L’origine del trauma può essere dovuta a:
• Pratica sportiva: contatto fisico durante l’esecuzione di sport come calcio, rugby e pallacanestro, cadute durante la pratica di sport come pallavolo, sci, ginnastica, le lussazioni alle dita sono molto frequenti soprattutto in sport come pallavolo e pallacanestro.
• Incidenti: cadute in bicicletta e moto o incidenti automobilistici possono provocare questo tipo di infortunio

Le lussazioni congenite generalmente sono causate da malformazioni dei capi articolari che si manifestano nei bambini alla nascita o in epoca neonatale (la più conosciuta è la lussazione congenita dell’anca). Le lussazioni patologiche comprendono invece tutte le forme di alterazioni dei rapporti articolari causate da altre patologie.

Un’articolazione lussata generalmente è caratterizzata dalla seguente sintomatologia:
• Può essere visibilmente deformata
• Appare gonfia e calda
• Provoca dolore intenso

Alcuni consigli per prevenire una lussazione sono:
• Fare sport in modo sicuro, indossando il giusto equipaggiamento protettivo soprattutto nel caso degli sport da contatto
• Evitare il ripetersi della lussazione: una volta che l’articolazione si è lussata, può risultare maggiormente suscettibile a lussazioni future. È importante, per evitare il ripetersi dell’infortunio e potenziare l’articolazione, svolgere gli appositi esercizi di resistenza e stabilità consigliati dal fisiatra o dal fisioterapista

SINTESI

La gotta è una delle forme di artrite infiammatoria più frequenti, soprattutto nell’uomo (nella donna solo dopo la menopausa).

E’ provocata dalla precipitazione di cristalli di acido urico nelle articolazioni, dovuta a un aumento dei livelli di acido urico nel sangue. Perché aumenta l’acido urico nel sangue?
Diverse sono le cause e talvolta associate fra loro; importante è la dieta, ma anche alcuni farmaci e la familiarità.

L’artrite gottosa provoca tumefazione, arrossamento e dolore a livello articolare. Tipico, soprattutto all’esordio, è l’interessamento dell’alluce. Non solo il dito ma tutto il piede può apparire talmente gonfio e rosso, da far sospettare a volte una flebite.

Se non curata, la gotta può interessare altre articolazioni, a volte con caratteri simili all’artrite reumatoide (gotta cronica). Inoltre, se i livelli di acido urico non vengono abbassati, la precipitazione di questi cristalli può avvenire in altre sedi, formando ad esempio calcoli renali e/o i cosiddetti tofi (cioè accumuli di acido urico) che si possono trovare in qualsiasi tessuto.

DIAGNOSI

Per diagnosticare la gotta, allo specialista generalmente basta osservare l’articolazione ed effettuare un’anamnesi mirata. Viene richiesto solitamente il dosaggio dell’uricemia anche se, durante l’attacco acuto, essa può essere perfettamente normale. Qualche volta è necessario l’esame del liquido sinoviale per verificare se contiene i cristalli di urato monosodico. La radiografia può aiutare nella diagnosi nei casi di gotta cronica.

TRATTAMENTO

Il trattamento della gotta prevede: la risoluzione del quadro articolare acuto (Colchicina, FANS, talvolta cortisonici), e la normalizzazione dei livelli dell’uricemia (farmaci e dieta).

SINTESI

La tendinite è un’infiammazione del tendine che può essere acuta o progressiva, comunemente causata dalla ripetizione cronica di micro-sollecitazioni o da uno sforzo eccessivo che a lungo andare alterano la normale struttura tendinea, caratterizzata da dolore e difficoltà di movimento a livello dell’articolazione coinvolta.

I principali fattori di rischio causa di tendinite sono:
• lavori manuali ripetitivi che comportano un grosso sforzo fisico
• attività sportiva scorretta
• movimenti o posizioni scorrette durante gran parte della giornata
• età, sovrappeso e patologie metaboliche (come il diabete o le tireopatie).

La tendinite si presenta nella maggior parte dei casi come un dolore intenso che insorge rapidamente nell’arco di qualche giorno e che nei casi più acuti può evolvere anche in tumefazione del tendine infiammato, come nel caso del Tendine d’Achille.

Sebbene qualsiasi articolazione possa essere colpita da tendinite, le parti del corpo più interessate sono: spalle, gomiti, caviglie, mano/polsi, ginocchia e anche.

DIAGNOSI

Il sintomo principale della tendinite è un dolore localizzato che si manifesta soprattutto durante la palpazione dell’area interessata o durante movimenti che coinvolgono l’articolazione infiammata.
La tendinite è classificata in base alle cause scatenanti: acuta, provocata da traumi, soprattutto in ambito sportivo, oppure cronica, causata principalmente da un movimento ripetuto e continuativo.
I casi più gravi possono sfociare in gonfiore e tumefazione dell’area interessata, o in formazioni cistiche (come nel caso delle tendiniti del polso).

TRATTAMENTO

Se la sintomatologia dolorosa non è molto accentuata è preferibile aspettare qualche giorno prima di rivolgersi al medico e trattare la tendinite tenendo a riposo l’articolazione infiammata, sospendendo, quindi, tutte quelle attività che sono causa della tendinite stessa, e applicare del ghiaccio, che aiuterà a ridurre il gonfiore e alleviare il dolore.

È possibile associare al riposo l’utilizzo di una fascia o un tutore che vanno a sorreggere l’arto interessato e intraprendere una terapia antinfiammatoria a base di pomate, cerotti o compresse.

In presenza di tendinite prolungata e accentuata si possono valutare altre soluzioni, come le infiltrazioni o delle sedute dal fisioterapista, per recuperare la mobilità dell’arto o, ancora, nei casi limite di tendinite cronica, può essere necessario l’intervento chirurgico di rimozione dei tessuti infiammati.