Le varici o vene varicose sono vene dilatate di apparenza tortuosa che interessano prevalentemente il sistema venoso superficiale degli arti inferiori. Questo sistema, costituto dalla grande e piccola safena e dai loro vasi affluenti, ha la funzione di raccogliere il sangue periferico delle gambe e indirizzarne il flusso verso il cuore.
L’efficacia del sistema safenico, la cui circolazione avviene nel senso contrario alla gravità quando si sta in piedi, dipende in gran parte dal corretto funzionamento delle valvole venose.
Il malfunzionamento valvolare è la causa principale delle varici poiché può favorire il reflusso del sangue e la conseguente dilatazione venosa. Si tratta di un processo lento ma progressivo che può determinare l’insorgenza di diverse complicazioni: dai semplici problemi estetici alla severa insufficienza venosa cronica.
Generalmente, i sintomi iniziali delle vene varicose sono: sensazione di pesantezza alle gambe dopo aver trascorso molto tempo in piedi; crampi notturni al polpaccio; formicolii o prurito alle gambe; dolori lungo il decorso delle vene; gonfiore alle gambe.
I sintomi si possono aggravare con il passar del tempo manifestandosi come:
• macchie brune: localizzate generalmente nella parte inferiore della gamba, dovute alla fuoriuscita di sangue dalla vena.
• eczema: eruzione o rottura di vescicole nella gamba
• ipodermiti: aree cutanee, più o meno estese, arrossate, dolenti o indurite sulla gamba
• tromboflebite superficiale: infiammazione della parete venosa che si manifesta con la comparsa di un segmento venoso dolente e indurito su un’area • cutanea calda e arrossata
• ulcerazioni: lesioni di lenta guarigione localizzate in genere in prossimità del malleolo; sono le complicanze più tardive delle varici
• sanguinamento spontaneo o a seguito di traumatismo: dovuto alla rottura di una varice, che può essere spontaneo a seguito di un trauma.
Contribuiscono alla formazione delle vene varicose:
• familiarità: chi ha parenti di primo grado con varici ha una maggiore probabilità di sviluppare questa condizione
• scarso movimento: le vene varicose si verificano più frequentemente nelle persone che passano molte ore in piedi
• genere: le varici agli arti inferiori colpiscono con maggior frequenza le donne
• obesità
• gravidanza
A parte alcune cause che non possono essere modificate, alcuni fattori di rischio possono essere prevenuti osservando alcune norme comportamentali:
• evitare il sovrappeso;
• evitare di stare molte ore in piedi;
• praticare una regolare attività sportiva;
• evitare di esporre troppo al sole le gambe;
• indossare calze elastiche a compressone graduata
DIAGNOSI
La diagnosi di varici viene effettuata attraverso una vista specialista e completata con eventuale esame Ecocolor Doppler. Questo esame, basato sull’utilizzo degli ultrasuoni, non invasivo, consente di visualizzare le vene fornendo informazioni sulla loro forma e sul flusso sanguigno al loro interno.
TRATTAMENTI
Varicectomia
L’intervento è indicato per le piccole varici sintomatiche che non coinvolgono la grande safena e consiste nell’asportazione delle vene colpite attraverso delle micro-incisioni. L’intervento di varicectomia viene effettuato in anestesia locale in regime di day hospital.
Safenectomia
L’intervento di safenectomia mediante “stripping” è indicato in caso di problemi varicosi alle safene. Si effettua realizzando una piccola incisione in prossimità del malleolo, attraverso la quale si inserisce una sonda o “stripper” nella vena safena fino all’inguine. La successiva estrazione della sonda permette l’asportazione della vena. La safenectomia viene effettuata in anestesia epidurale selettiva e in regime di day hospital.
Laser endovascolare dell’incontinenza della vena grande safena
Si tratta di una procedura mini invasiva effettuata in anestesia locale che, attraverso speciali fibre ottiche e appositi cateteri, concentra direttamente nella vena l’energia laser. La durata dell’energia laser viene ovviamente controllata per preservare la diffusione dell’energia termica nei tessuti adiacenti la vena trattata
L’artrosi dell’anca è un processo degenerativo che colpisce l’articolazione, vale a dire il movimento che risulta dallo scorrimento reciproco delle superfici della testa del femore e del cotile compromesso dall’usura della cartilagine. Ne nasce un’ infiammazione continua che determina non solo dolore ma anche una progressiva ulteriore distruzione dei tessuti sino alla completa incapacità a fare il movimento.
Le cause sono molteplici: può esserci una malformazione dell’articolazione stessa presente già alla nascita (displasia congenita dell’anca), oppure esistono processi patologici malformativi che si manifestano in età pediatrica o adolescenziale (malattia di Peerthes, epifisiolisi): l’anca malformata si usura più rapidamente di quella normale per cui, in età più precoce, può sviluppare un’artrosi.
Un’altra causa è rappresentata da un trauma che attraverso una frattura o una lussazione ha danneggiato in modo irreversibile l’articolazione. Di solito l’artrosi post-traumatica è conseguente a gravi incidenti stradali.
L’artrosi dell’anca è anche espressione di un’usura da invecchiamento dell’articolazione: se il paziente pesa troppo, svolge una attività lavorativa con tanto carico, o se svolge un’ intensa attività sportiva avrà maggiori probabilità di avere un’artrosi precoce dell’anca.
TRATTAMENTI
Trattamento medico
Nelle fasi iniziali, i farmaci anti-infiammatori, magari associati a condroprotettori, possono in alcuni casi dare sollievo dal dolore ma non agiscono sulla progressione del danno articolare.
Trattamento chirurgico
Quando le terapie conservative non hanno dato alcun effetto e il dolore e la limitazione del movimento influiscono sulle attività quotidiane, l’unica possibilità è fare un intervento di sostituzione dell’anca con una protesi. Si tratta di un intervento ormai ben codificato e studiato, e i materiali e gli accoppiamenti utilizzati sono sicuri. E’ un intervento di successo, in grado di migliorare notevolmente la qualità di vita del paziente affetto da artrosi dell’anca. Con il progredire delle tecniche chirurgiche e l’evoluzione dei materiali e del design delle protesi, è sempre meno vincolante l’età del paziente.
Trattamento riabilitativo post chirurgico
Dopo l’intervento chirurgico, in assenza di complicazioni, la degenza in Ortopedia è mediamente di 5/7 giorni. In seguito il paziente verrà trasferito in una struttura riabilitativa per un periodo di circa 15 giorni, dove apprenderà come muoversi, camminare e svolgere le quotidiane attività con la propria nuova articolazione protesizzata. Nel caso di pazienti giovani e attivi, è anche possibile organizzare una riabilitazione ambulatoriale che permette una dimissione precoce.
La frattura del femore, l’osso più lungo e voluminoso del corpo umano situato nella coscia, è un evento che può verificarsi a tutte le età. Nonostante il femore sia un osso molto resistente, urti e traumi violenti nel giovane oppure l’osteoporosi nell’anziano possono provocarne la rottura. Vista la posizione e la funzione del femore, fondamentale per il movimento degli arti inferiori, è necessario far subito ricorso alle cure mediche.
Il femore è un osso particolarmente importante. Su di esso si inseriscono muscoli fondamentali per il movimento. Il femore comunica con l’anca, costituendo l’articolazione coxofemorale, e con la rotula e la tibia nell’articolazione del ginocchio. La frattura può colpire il femore nella sua parte centrale o più frequentemente negli anziani nella testa del femore, vale a dire l’estremità che si congiunge con l’articolazione dell’anca. Si parla in questi casi di frattura a livello del collo femorale e di frattura pertrocanterica.
Le cause di frattura del femore variano molto a seconda dell’età del soggetto.
Le cadute accidentali in casa sono la principale causa di frattura del femore nella persona anziana. La persona anziana va incontro a frattura più di frequente a causa dell’osteoporosi, una patologia che comporta la riduzione della forza delle ossa e le espone a un rischio maggiore di lesione. Negli anziani sono comuni le fratture da stress, che non sono provocate da traumi o urti violenti ma da una progressiva degenerazione della struttura ossea. Spesso sono associate anche ad altre patologie come diabete e artrite reumatoide. Altre cause sono infezioni e tumori che possono alterare la robustezza del tessuto osseo.
Nel giovane la frattura del femore è frequentemente associata a traumi sportivi o a incidenti stradali. Il femore è un osso molto robusto e quindi, in assenza di altre patologie, ha bisogno di un urto molto violento affinché si verifichi la rottura. La frattura si può presentare in diversi punti del femore e può essere composta o scomposta, a seconda che ci sia uno spostamento o meno dei frammenti lesionati che perdono, così, il naturale allineamento. La frattura al femore può inoltre essere completa o non completa, a seconda che ci sia una lesione con o senza separazione dei segmenti e può essere multipla, se c’è una rottura in più punti, e ancora trasversale, obliqua o spiroide.
DIAGNOSI
I sintomi della frattura del femore differiscono a seconda del punto di lesione. Generalmente la frattura provoca:
Dolore acuto e immediato, che si può irradiare verso l’inguine, ma può essere avvertito anche all’altezza del ginocchio e della caviglia
Sensazione di uno schiocco al momento del trauma
Difficoltà a stare in piedi e a muovere la gamba
Gonfiore
Presenza di lividi e tumefazioni
Deformazione e accorciamento dell’arto
Le fratture non trattate adeguatamente possono dare luogo a complicazioni che comprendono artrosi post-traumatica, infezioni, deformità, rigidità articolare ovvero la difficoltà a muovere correttamente l’arto.
TRATTAMENTO
Le fratture del femore si prevengono ponendo particolare attenzione alla protezione delle articolazioni se si svolgono attività sportive. È buona norma non sottoporre l’articolazione a movimenti ripetuti e usuranti.
Per evitare le fratture dovute a osteoporosi si dovrebbe integrare l’alimentazione con calcio e vitamina D e seguire le terapie mediche prescritte.
Per prevenire le cadute le persone anziane dovrebbero indossare scarpe comode, con suole antiscivolo, rimuovere gli ostacoli presenti in casa, come i tappeti, illuminare bene gli ambienti, fare attenzione se si cammina all’esterno su superfici scivolose.
La frattura dell’anca è una grave lesione, soprattutto se colpisce una persona anziana. Generalmente consiste nella rottura della parte del femore nota come collo del femore che unisce l’osso principale della gamba all’anca nell’articolazione coxo-femorale.
La frattura dell’anca può verificarsi a qualsiasi età, ma i casi aumentano dopo i 65 anni, soprattutto a causa del progressivo indebolimento delle ossa per l’osteoporosi. La causa più frequente è una banale caduta.
La frattura dell’anca è una delle maggiori emergenze sanitarie in ambito geriatrico. Il 30% dei pazienti con più di 65 anni che subisce una frattura dell’anca muore dopo un anno per una combinazione di problemi innescati dalla disabilità grave provocata dalla frattura, tra cui principalmente la perdita di autonomia. È indispensabile un trattamento chirurgico eseguito tempestivamente, seguito dalla riabilitazione e da un monitoraggio costante della salute del paziente anziano.
L’anca è un’articolazione molto complessa, si parla di frattura dell’anca quando la rottura si verifica tra la cartilagine dell’articolazione e un punto posto cinque centimetri sotto il piccolo trocantere, un punto del femore in cui si inseriscono importanti muscoli che rendono possibile il movimento.
Le fratture dell’anca si classificano a seconda del punto in cui è presente una lesione intra-capsulare o extra-capsulare. Le fratture intra-capsulari si verificano nel punto in cui il femore si unisce all’anca, la capsula, formata da fibre legamentose. È la più grave delle fratture perché si tratta di un punto molto vascolarizzato e quindi esposto al rischio di morte (necrosi) del tessuto osseo. Si distinguono anche le fratture intertrocanteriche e sottotrocateriche.
La principale causa di frattura dell’anca, soprattutto nell’anziano, è la caduta accidentale. Se il paziente soffre di osteoporosi il rischio è molto più alto. Nel paziente giovane, la frattura è spesso legata a incidenti stradali o a traumi sportivi.
Tra le cause collegate non bisogna dimenticare il sesso (le donne in menopausa soffrono un più rapido indebolimento delle ossa), farmaci a base di cortisone, fattori nutrizionali (quali un’alimentazione povera di calcio e vitamina D), sedentarietà, fumo e abuso di alcol.
DIAGNOSI
I sintomi della frattura dell’anca differiscono a seconda del punto di lesione. Generalmente la frattura provoca:
• Dolore acuto
• Incapacità di muoversi subito dopo la caduta
• Difficoltà di stare in piedi e di scaricare il peso sul lato dell’anca lesionata
• Gonfiore
• Presenza di lividi e tumefazioni
• Rotazione verso l’esterno della gamba interessata
• Deformazione e accorciamento dell’arto interessato
Le fratture non trattate adeguatamente possono dare luogo a complicazioni che comprendono artrosi post-traumatica, infezioni, deformità, rigidità articolare, vale a dire difficoltà a muovere correttamente l’arto, andatura claudicante. La frattura dell’anca comporta anche numerose complicazioni legate alla mancanza di autonomia e alla necessità di un lungo periodo di ricovero o di allettamento. Queste comprendono: trombosi venosa, pieghe da decubito, infezioni delle vie urinarie.
TRATTAMENTO
Le fratture del femore si prevengono ponendo particolare attenzione alla protezione delle articolazioni se si svolgono attività sportive. È buona norma non sottoporre l’articolazione a movimenti ripetuti e usuranti. Per evitare le fratture dovute a osteoporosi si dovrebbe integrare l’alimentazione con calcio e vitamina D e seguire le terapie mediche prescritte.
Per prevenire le cadute le persone anziane dovrebbero indossare scarpe comode, con suole antiscivolo, rimuovere gli ostacoli presenti in casa, come i tappeti, illuminare bene gli ambienti, fare attenzione se si cammina all’esterno su superfici scivolose.
L’artrosi del ginocchio è una patologia estremamente diffusa nel mondo occidentale, seconda per numeri solo a quella che coinvolge le vertebre. Consiste nella progressiva degenerazione della cartilagine articolare e colpisce più frequentemente la popolazione femminile e coloro che hanno più di cinquant’anni. Può, a grandi linee, essere suddivisa in primitiva, cioè non dovuta a cause specifiche, e secondaria vale a dire causata da un’altra patologia come deformità scheletriche, fratture, infezioni o patologie reumatologiche. L’artrosi primitiva colpisce tutti i settori del ginocchio (pan-artrosi) ed è spesso associata ad altre localizzazioni della patologia come le mani, le anche o la colonna vertebrale. L’artrosi secondaria, invece, privilegia una parte specifica dell’articolazione.
Sia l’artrosi primitiva sia quella secondaria possono essere aggravate da due condizioni parafisiologiche: il ginocchio varo e il ginocchio valgo. Queste due conformazioni particolari dell’articolazione, che si differenziano per il diverso orientamento tra il femore e la tibia, possono quindi essere considerate dei veri elementi di rischio. L’artrosi è condizionata da alcuni fattori come l’entità del varismo o del valgismo (misurabile in gradi), il peso corporeo, l’attività lavorativa, l’età e da alcune condizioni endocrine.
Un altro modo di classificare l’artrosi del ginocchio si basa sulla localizzazione dell’usura cartilaginea (versante interno, esterno, femoro-rotuleo). Nel caso in cui l’usura sia circoscritta a un solo versante si parla di artrosi “monocompartimentale”. Spesso questo è anche il modo in cui esordisce la patologia che coinvolgerà gli altri settori del ginocchio solo successivamente.
TRATTAMENTI
Trattamento medico
In caso di dolore per artrosi del ginocchio, per ottenere sollievo è necessario seguire una terapia farmacologica a base di antiinifiammatori rivolgendosi a uno specialista che valuterà, a seconda del singolo caso, quale sia il farmaco più adatto alle esigenze del paziente magari associato a terapie fisiche che hanno lo scopo di ridurre l’infiammazione e quindi il dolore.
Trattamento chirurgico
Lo specialista consiglierà l’intervento chirurgico di sostituzione protesica quando le terapie fisiche per l’artrosi del ginocchio non si siano rivelate sufficienti nel controllo del dolore e quando la qualità di vita della persona sia compromessa. L’intervento chirurgico è quindi consigliato quando le attività quotidiane del paziente sono limitate a causa del dolore al ginocchio e quando il paziente non trova più beneficio dalla terapia antiinfiammatoria.
Trattamento riabilitativo
La terapia dell’artrosi del ginocchio è prevalentemente fisioterapica, mirata al rinforzo muscolare di quadricipite e adduttori. Se la sintomatologia persiste, è bene rivolgersi a uno specialista e approfondire la visita con esami radiologici (RX e RM). E’ importante scegliere uno sport che non sovraccarichi l’articolazione già compromessa. E’ bene preferire attività quali il nuoto o la bicicletta, quest’ultima preferibilmente a sella alta e con bassa resistenza della pedalata
Il menisco è una struttura fibro-cartilaginea, dura ed elastica, che funge da ammortizzatore all’interno del ginocchio. Ogni ginocchio ha due menischi – il menisco laterale e il menisco mediale – posti tra il femore e la tibia. I menischi hanno la funzione di distribuire i carichi del ginocchio in modo più regolare e contribuiscono alla stabilità rotazionale quando il ginocchio è soggetto a sollecitazioni meccaniche rilevanti come correre, saltare o cambiare direzione all’improvviso.
La lesione del menisco è tra quelle più diffuse che riguardano il ginocchio. La rottura del menisco può avvenire a seguito di un trauma distorsivo del ginocchio oppure può essere l’ultimo evento di una degenerazione della fibrocartilagine che avviene nel tempo per un processso di invecchiamento fisiologico o per un meccanismo di piccoli traumi ripetuti. Diversa quindi la morfologia della rottura, diverso l’intervento chirurgico, diverso il risultato finale.
DIAGNOSI
La lesione del menisco viene diagnosticata attraverso una visita medica, nel corso della quale lo specialista verifica i sintomi del paziente. Se il dubbio diagnostico viene accompagnato da una conferma con un’indagine strumentale (la Risonanza Magnetica) i margini di errore sono ridotti a percentuali bassissime. Altri esami strumentali (radiografia e TAC) possono essere eseguiti ma non hanno la stessa sicurezza diagnostica.
TRATTAMENTI
L’asportazione del menisco (meniscectomia) comporta un danno a carico di quella parte del ginocchio che ne resta privo: nel corso degli anni la cartilagine che riveste le superfici articolari si usura, si frammenta e viene progressivamente distrutta dando origine a un processo infiammatorio cronico che si chiama artrosi, che si evidenzia dopo 20, 25 anni dalla meniscectomia.
Per questo il menisco va salvaguardato il più possibile e da interventi di asportazione totale, nel corso degli anni, si è passati a interventi meno demolitivi (meniscectomie selettive). Inoltre, tanto più il paziente è giovane tanto più si deve conservare il patrimonio biologico e pertanto si sono introdotti metodi per la ricostruzione e sutura meniscale. Questi interventi conservativi possono essere eseguiti se il menisco ha una rottura recente e traumatica, richiedono tempi di guarigione più lunghi ma preservano il ginocchio da futuri danni artrosici.
Nei casi malaugurati in cui è necessario asportare il menisco, in un paziente giovane, si deve considerare l’opzione terapeutica di sostituirlo con un menisco artificiale (scaffold) o con un trapianto da donatore.
Tutti gli interventi di chirurgia meniscale si avvalgono di tecniche artroscopiche e miniinvasive che riducono l’impatto sul paziente in termini di diminuzione della degenza, del dolore e della invalidità temporanea.
Il dolore alle gambe o il dolore benigno dell’infanzia è un dolore muscolare intermittente a carico degli arti inferiori, che si presenta nelle ore serali o notturne, anche per pochi minuti, dovuto probabilmente all’eccessivo sforzo muscolare dei bambini sempre attivi e in continuo movimento.
E’ un tipo di dolore che interessa sia i maschi sia le femmine tra i 4 e 12 anni, e di solito, può manifestarsi oltre che alle gambe anche nella parte posteriore delle ginocchia. Solitamente il mattino successivo all’insorgenza del disturbo, la sintomatologia dolorosa scompare completamente.
La causa di questo dolore è sconosciuta e non si può prevenire. Può succedere che si presenti anche più volte durante il periodo di crescita del bambino. Nei bambini molto “elastici” (lassità legamentosa costituzionale), la maggior distensione delle varie articolazioni può produrre dolori osteoarticolari in seguito allo sforzo fisico.
DIAGNOSI
La diagnosi è clinica e si basa fondamentalmente su un’ accurata anamnesi medica del bambino e delle sue abitudini quotidiane. Solitamente i bambini con dolori alle gambe si sentono meglio una volta coccolati, toccati o massaggiati da parte dei loro genitori. In rari casi il medico può chiedere accertamenti più approfonditi come, ad esempio, esami del sangue o radiografie.
TRATTAMENTO
Se il dolore non si risolve spontaneamente entro poche ore dalla sua comparsa e persiste, lo specialista può prescrivere farmaci antidolorifici/antiinfiammatori. Molto utili sono anche i massaggi da parte dei genitori a livello delle zone interessate. La somministrazione di tachiprina o iburpofene sciroppo durante la sera insieme alla limitazione dell’attività fisica, per quanto possibile, possono essere delle valide soluzioni in caso di attacchi frequenti.
Con “gambe storte” nei bambini si indicano delle deviazioni degli arti inferiori che si osservano a livello delle ginocchia, chiamate anche ginocchia valghe (ginocchio a X) oppure ginocchia vare (ginocchia a O o arcuate).
Alla nascita le ginocchia dei bambini sono vare, a causa del posizionamento del bambino nell’utero materno. Man mano che il bambino cresce, si osserva il fisiologico “raddrizzamento “delle ginocchia (verso i 2-3 anni di età) fino al raggiungimento del fisiologico asse della gamba (ginocchio valgo) verso i 10 anni di età.
In caso di differenze (assimetrie) tra un ginocchio ed altro o nei casi di eccessive deviazioni a qualsiasi età, è necessario effettuare una visita specialistica. Ci sono infatti alcune condizioni patologiche come i disturbi della cartilagine di accrescimento del femore e/o della tibia o alcune malattie metaboliche (ad esempio il rachitismo), che possono “disturbare” il fisiologico “raddrizzamento” delle gambe.
E’ importante tenere sotto controllo il peso corporeo del bambino: un aumento eccessivo può infatti aumentare il varismo delle ginocchia nel caso di bambini piccoli ( tra i 2-4 anni), oppure il valgismo nel caso di bambini più grandi ( tra gli 8-10 anni).
DIAGNOSI
Nei casi di aumentato varismo / valgismo delle ginocchia o in presenza di asimmetrie tra le due ginocchia, è consigliabile una visita presso il proprio pediatra per escludere eventuali cause metaboliche (ad esempio rachitismo, diabete, alterazioni della tiroide ecc), e una visita specialistica ortopedica per valutare eventuali cause ossee/ cartilaginee.
Lo specialista ortopedico valuterà clinicamente il bambino e, se necessario, chiederà alla famiglia di eseguire una valutazione radiografica di entrambe le gambe (teleradiografia arti inferiori in carico) per misurare l’asse meccanico di ogni arto inferiore e evidenziare eventuali alterazioni a livello delle cartilagini di accrescimento.
TRATTAMENTO
Il trattamento delle “gambe storte” dipende dalla causa della deformità, l’età del paziente e la deviazione assiale presente.
Trattamento medico
In caso di malattie come il rachitismo, i pazienti devono iniziare subito la terapia medica e tenere sotto controllo la situazione clinica. In alcuni casi l’utilizzo di ausili come, ad esempio, alcuni tipi di plantari o tutori possano essere di aiuto nelle prime fasi di trattamento per contenere la deformità presente durante l’accrescimento corporeo (plantari con spinta valgizzante /varrizante a livello delle ginocchia per “indirizzare” la crescita).
Trattamento chirurgico
Qualora la deformità a livello degli arti inferiori sia importante, si potrebbe procedere con un intervento chirurgico minimamente invasivo chiamato epifisiorisi (“blocco” temporaneo della parte ossea “cresciuta” in eccesso utilizzando delle piccole placche a forma di 8, posizionate a cavallo della cartilagine di accrescimento) che si esegue in regime di Day hospital, e “sfrutta” la crescita corporea residua per permettere il ripristino dell’allineamento corretto delle gambe. Il bambino riprende da subito le sue attività quotidiane e appena si osserva la correzione clinica le placche a 8 vengono rimosse.
Il Legamento Crociato Anteriore (LCA) è un cordone di tessuto fibroso molto resistente, situato al centro del ginocchio, teso tra il femore e la tibia. Quando il ginocchio si articola, la tensione del LCA evita che la tibia si allontani dal femore fornendo in questo modo un’ importante funzione di stabilizzazione all’articolazione.
La lesione del LCA può avvenire quando il ginocchio è sottoposto a una rotazione forzata o a una violenta iperestensione. Questi meccanismi traumatici sono frequenti durante la pratica d’alcuni sport come sci, calcio, pallacanestro o a seguito di incidenti stradali. Le lesioni del LCA sono, in genere, complete e possono verificarsi in forma isolata o associata a lesioni dei menischi e/o di altri legamenti dello stesso ginocchio.
TRATTAMENTO
Trattamento medico
In caso di infiammazione articolare del Legamento Crociato Anteriore (LCA), il medico potrà consigliare inizialmente un periodo di riposo associato a terapia con farmaci antiinfiammatori e applicazione locale di ghiaccio. Al persistere della sintomatologia, è bene approfondire le cause del dolore e ricorrere a eventuali esami strumentali consigliati dal medico.
Quando il legamento crociato si rompe non può guarire e la lesione rimane presente ed invariata per tutta la vita. In presenza di una lesione del crociato anteriore si può svolgere una vita quotidiana normale evitando però di praticare attività sportive a livello agonistico, soprattutto sport di contatto o di particolare impegno per le ginocchia. Non è quindi consigliabile praticare calcio, basket, pallavolo, sci.
Trattamento chirurgico
Per ottenere nuovamente una stabilità del ginocchio tale da consentire lo svolgimento di qualsiasi attività è necessario sottoporsi all’intervento chirurgico di ricostruzione del legamento crociato anteriore, e alla successiva fisioterapia specifica. Questo intervento è necessario nei giovani e negli sportivi. Oltre i 45-50 anni è consigliabile in caso di attività sportiva sostenuta o di instabilità soggettiva del ginocchio (quando cioè il paziente presenta numerosi e ripetuti episodi distorsivi del ginocchio stesso anche durante attività quotidiane). La tecnica utilizzata prevalentemente prevede la ricostruzione del legamento crociato anteriore con gracile e semitendine. Con tale metodica non è necessaria alcuna immobilizzazione post-operatoria né l’utilizzo di alcun tutore.
Trattamento riabilitativo post operatorio
Il successo dell’intervento chirurgico è per buona parte legato a un’adeguata ed intensa fase riabilitativa volto sia al recupero dell’articolarità del ginocchio e alla ripresa della deambulazione, sia al recupero del tono muscolare. Il carico sull’arto operato è concesso da subito con l’utilizzo delle stampelle. Mediamente, dopo 3 settimane dall’intervento, sotto la guida di un fisioterapista esperto, il paziente è già in grado di camminare autonomamente senza l’ausilio delle stampelle. Può anche iniziare un’attività di recupero in acqua. Per riprendere a correre deve attendere 3 mesi dall’intervento, e per riprendere attività sportive come il calcio deve attendere almeno 6 mesi.
Le varici o vene varicose sono vene dilatate di apparenza tortuosa che interessano prevalentemente il sistema venoso superficiale degli arti inferiori. Questo sistema, costituto dalla grande e piccola safena e dai loro vasi affluenti, ha la funzione di raccogliere il sangue periferico delle gambe e indirizzarne il flusso verso il cuore.
L’efficacia del sistema safenico, la cui circolazione avviene nel senso contrario alla gravità quando si sta in piedi, dipende in gran parte dal corretto funzionamento delle valvole venose.
Il malfunzionamento valvolare è la causa principale delle varici poiché può favorire il reflusso del sangue e la conseguente dilatazione venosa. Si tratta di un processo lento ma progressivo che può determinare l’insorgenza di diverse complicazioni: dai semplici problemi estetici alla severa insufficienza venosa cronica.
Generalmente, i sintomi iniziali delle vene varicose sono: sensazione di pesantezza alle gambe dopo aver trascorso molto tempo in piedi; crampi notturni al polpaccio; formicolii o prurito alle gambe; dolori lungo il decorso delle vene; gonfiore alle gambe.
I sintomi si possono aggravare con il passar del tempo manifestandosi come:
• macchie brune: localizzate generalmente nella parte inferiore della gamba, dovute alla fuoriuscita di sangue dalla vena.
• eczema: eruzione o rottura di vescicole nella gamba
• ipodermiti: aree cutanee, più o meno estese, arrossate, dolenti o indurite sulla gamba
• tromboflebite superficiale: infiammazione della parete venosa che si manifesta con la comparsa di un segmento venoso dolente e indurito su un’area • cutanea calda e arrossata
• ulcerazioni: lesioni di lenta guarigione localizzate in genere in prossimità del malleolo; sono le complicanze più tardive delle varici
• sanguinamento spontaneo o a seguito di traumatismo: dovuto alla rottura di una varice, che può essere spontaneo a seguito di un trauma.
Contribuiscono alla formazione delle vene varicose:
• familiarità: chi ha parenti di primo grado con varici ha una maggiore probabilità di sviluppare questa condizione
• scarso movimento: le vene varicose si verificano più frequentemente nelle persone che passano molte ore in piedi
• genere: le varici agli arti inferiori colpiscono con maggior frequenza le donne
• obesità
• gravidanza
A parte alcune cause che non possono essere modificate, alcuni fattori di rischio possono essere prevenuti osservando alcune norme comportamentali:
• evitare il sovrappeso;
• evitare di stare molte ore in piedi;
• praticare una regolare attività sportiva;
• evitare di esporre troppo al sole le gambe;
• indossare calze elastiche a compressone graduata
DIAGNOSI
La diagnosi di varici viene effettuata attraverso una vista specialista e completata con eventuale esame Ecocolor Doppler. Questo esame, basato sull’utilizzo degli ultrasuoni, non invasivo, consente di visualizzare le vene fornendo informazioni sulla loro forma e sul flusso sanguigno al loro interno.
TRATTAMENTI
Varicectomia
L’intervento è indicato per le piccole varici sintomatiche che non coinvolgono la grande safena e consiste nell’asportazione delle vene colpite attraverso delle micro-incisioni. L’intervento di varicectomia viene effettuato in anestesia locale in regime di day hospital.
Safenectomia
L’intervento di safenectomia mediante “stripping” è indicato in caso di problemi varicosi alle safene. Si effettua realizzando una piccola incisione in prossimità del malleolo, attraverso la quale si inserisce una sonda o “stripper” nella vena safena fino all’inguine. La successiva estrazione della sonda permette l’asportazione della vena. La safenectomia viene effettuata in anestesia epidurale selettiva e in regime di day hospital.
Laser endovascolare dell’incontinenza della vena grande safena
Si tratta di una procedura mini invasiva effettuata in anestesia locale che, attraverso speciali fibre ottiche e appositi cateteri, concentra direttamente nella vena l’energia laser. La durata dell’energia laser viene ovviamente controllata per preservare la diffusione dell’energia termica nei tessuti adiacenti la vena trattata
Il tendine d’Achille collega i muscoli del polpaccio al calcagno ed è responsabile di molti dei movimenti che avvengono a livello del piede e della gamba. Sebbene sia un tendine molto resistente, se sottoposto a eccessivo sforzo può lacerarsi e arrivare a rompersi. La rottura del tendine di Achille può essere parziale o totale.
Questo tipo di infortunio, tanto più doloroso quanto maggiormente è estesa la rottura, si verifica più comunemente nei soggetti che praticano sport. L’approccio chirurgico è spesso la migliore opzione di trattamento per riparare una rottura del tendine d’Achille. Gli uomini corrono un rischio fino a 5 volte maggiore di incorrere in questo infortunio rispetto alle donne e la fascia di età più colpita è quella tra i 30 e i 40 anni.
La rottura di questo tendine – che può essere parziale o totale – è più frequente entro i primi 5-6 centimetri dal punto dove il tendine si attacca al calcagno. Questo tipo di lesione viene quasi sempre provocata da un improvviso aumento della quantità di stress sul tendine di Achille. Ciò accade soprattutto a causa di traumi o infortuni quando, ad esempio, si cade o si infila il piede in una buca. Spesso la rottura del tendine di Achille riguarda soggetti che praticano sport: aumentare eccessivamente l’intensità dell’attività sportiva è infatti una delle cause più frequenti che porta alla rottura di questo tendine. Le lesioni del tendine di Achille si verificano più spesso negli sport caratterizzati da corse, salti e scatti (come calcio, basket e tennis).
Quando si verifica la rottura del tendine molte persone riferiscono di sentire un rumore di schiocco, simile a una frustata. Solitamente la sintomatologia che accompagna questo infortunio comprende:
dolore, anche molto intenso, nella zona del tallone
gonfiore intorno al tallone
incapacità di piegare il piede infortunato verso il basso
incapacità di alzarsi sulla punta del piede infortunato
Per ridurre le probabilità di lacerazione del tendine d’Achille è consigliabile:
Effettuare esercizi volti ad allungare e rinforzare i muscoli del polpaccio e il tendine di Achille.
Variare il tipo di attività sportiva svolta, alternando sport ad alto impatto, come la corsa, con sport a basso impatto come camminare, andare in bicicletta o nuotare.
Evitare o limitare l’esecuzione di esercizi su superfici dure e scivolose.
Indossare calzature adeguate all’attività fisica che si sta svolgendo.
Aumentare l’intensità dello sforzo fisico gradualmente: molte delle lesioni al tendine di Achille si verificano proprio quando si aumenta bruscamente l’intensità (durata e/o frequenza) degli allenamenti.
DIAGNOSI
Per diagnosticare la rottura del tendine di Achille è spesso sufficiente sottoporsi a una visita ortopedica: il medico specialista sarà infatti in grado, attraverso opportune manovre, di effettuare la diagnosi.
Per rilevare l’entità del danno a carico del tendine, e stabilire se la rottura è totale o parziale, il medico può richiedere l’esecuzione di una risonanza magnetica.
TRATTAMENTI
Il trattamento per la rottura del tendine d’Achille dipende dalla gravità della lesione, dall’età del soggetto colpito dall’infortunio e dal livello di attività fisica svolta abitualmente. In generale, nel caso di rottura completa, le persone più giovani e attive spesso optano per l’intervento chirurgico attraverso cui il tendine lacerato viene ricucito. In caso, invece, di rottura parziale, può essere utilizzato un gesso (o un tutore) comprensivo di sostegni per tenere il tallone sollevato (per mantenere, cioè, il piede in posizione equina) al fine di favorire la rimarginazione del tendine lacerato.
Dopo qualsiasi trattamento è necessario sottoporsi a un programma di fisioterapia per rinforzare i muscoli delle gambe e lo stesso tendine di Achille. Per tornare alla normale attività quotidiana e sportiva solitamente sono necessari 4-6 mesi.
L’artrosi della caviglia è un processo degenerativo a carico della cartilagine articolare della caviglia.
È una patologia che interessa in particolare le persone anziane: la cartilagine infatti, con l’avanzare dell’età, va incontro a processi degenerativi. L’artrosi della caviglia però può anche insorgere in seguito a un trauma alla caviglia.
L’artrosi alla caviglia può insorgere per il naturale invecchiamento della cartilagine o come conseguenza di un trauma (una frattura della caviglia) o di altre patologie, come per esempio quelle reumatiche.
Tra i fattori di rischio che possono agevolare l’insorgenza della patologia:
• Il sovrappeso, che costringe l’articolazione della caviglia a uno sforzo aggiuntivo.
• Il cattivo allineamento dell’articolazione, che causa un’eccessiva usura della cartilagine.
• La ripetizione di traumi o microtraumi dovuti – per esempio – all’attività sportiva o lavorativa, con conseguente usura della cartilagine.
DIAGNOSI
L’artrosi della caviglia è caratterizzata da dolore, rigidità e tumefazione a carico dell’articolazione. Il dolore, inizialmente presente durante il movimento, può poi colpire anche a riposo. In alcuni casi può essere avvertita una sensazione di instabilità articolare, come se la caviglia non fosse più in grado di sopportare il peso corporeo.
TRATTAMENTI
Per limitare il rischio di insorgenza di artrosi alla caviglia è consigliabile:
• Evitare traumi, come le fratture, che predispongono la caviglia a un processo artrosico.
• Evitare condizioni come sovrappeso e obesità, per non costringere l’articolazione della caviglia a uno sforzo aggiuntivo.
Le fratture della caviglia e del piede sono eventi abbastanza comuni, che tuttavia comportano nella maggior parte dei casi un trattamento chirurgico molto delicato e una lunga riabilitazione. Quando si parla di frattura del piede, ad esempio, si ricomprende la probabile rottura di ossa diverse che compongono l’articolazione: le più esposte al rischio di frattura sono l’astragalo, il calcagno, lo scafoide, le ossa che compongono il metatarso e le ossa delle dita, vale a dire le falangi. Quando si parla di frattura del piede spesso si fa riferimento a un solo osso di quelli che compongono l’articolazione, anche se in alcuni casi – schiacciamento, incidenti – possono essere coinvolte più ossa. La frattura può essere netta, con due soli frammenti, o creare più frammenti, può essere composta o scomposta.
La frattura più complessa e grave riguarda l’astragalo, osso di collegamento tra tibia-perone e calcagno. Di difficile guarigione è anche la frattura del calcagno, l’osso su cui si scarica tutta la pressione del corpo. Le fratture dell’astragalo e del calcagno hanno una lenta guarigione perché si tratta di ossa scarsamente irrorate dai vasi sanguigni e quindi la saldatura dei frammenti è meno rapida. Fratture frequenti sono quelle del metatarso e dello scafoide, il collo del piede. Le fratture di più semplice ricomposizione sono quelle delle falangi.
Le fratture delle ossa del piede rivestono un’importanza particolare, perché possono determinare deformità e difficoltà nel camminare e nello svolgere le più semplici azioni quotidiane. Il trattamento è molto delicato per la complessità dell’articolazione e deve essere eseguito da esperti in chirurgia del piede e in centri specializzati.
La caviglia per la sua particolare collocazione è soggetta a numerose sollecitazioni: deve sopportare il peso di tutto il corpo. La frattura della caviglia consiste nella rottura delle parte distale della tibia o della parte distale del perone/fibula.
Le fratture si possono determinare per varie cause. Le più frequenti sono gli incidenti, in particolare gli incidenti alla guida e quelli professionali, in seguito a schiacciamento o a caduta dall’alto. Seguono i traumi sportivi, le cadute, le fratture da stress determinate da usura e movimenti ripetitivi. Un’altra causa di frattura del piede è l’osteoporosi, condizione in cui le ossa sono fragili e possono lesionarsi da sole senza urti o traumi.
I sintomi differiscono a seconda del punto di lesione. Generalmente la frattura provoca:
Dolore vivo
Difficoltà o impossibilità a reggersi in piedi senza provare dolore
Gonfiore
Presenza di lividi e tumefazioni
Deformità (pronazione)
Le fratture del piede si possono prevenire ponendo particolare attenzione alla protezione delle estremità con calzature infortunistiche se si svolgono lavori pericolosi. Se si fa sport bisognerebbe evitare di sottoporre i piedi a stress eccessivi ed è raccomandata la scelta di scarpe idonee al tipo di attività fisica. Per evitare le fratture dovute a osteoporosi si dovrebbe integrare l’alimentazione con fonti di calcio e vitamina D e seguire le terapie mediche per ripristinare la mineralità dell’osso.
DIAGNOSI
Gli esami per diagnosticare le fratture del piede includono:
• Radiografia del piede, che consente di visualizzare da più angolazioni le lesioni.
• Scintigrafia ossea, mediante un mezzo di contrasto che evidenzia le zone danneggiate.
• TAC (tomografia assiale computerizzata), fornisce informazioni preziose per individuare le lesioni e le interferenze con tessuti, muscoli e legamenti consentendo di pianificare meglio un intervento chirurgico.
• Risonanza magnetica, per la valutazione dello stato dei legamenti che possono essersi danneggiati durante un incidente e complicare la guarigione dell’articolazione.
TRATTAMENTI
Il primo trattamento della frattura consiste nell’applicare ghiaccio, nell’immobilizzare il piede e nell’eventuale riduzione del dolore attraverso la somministrazione di antidolorifici. Per alcune tipologie di frattura, le più semplici come la frattura dell’alluce, è sufficiente l’immobilizzazione della parte con il gesso.
Generalmente, le fratture del piede richiedono un intervento chirurgico, finalizzato alla ricomposizione (riduzione) dei frammenti e alla saldatura tramite viti metalliche, perni o piastre che vengono rimossi dopo la guarigione. All’intervento segue nella maggior parte dei casi una immobilizzazione con gesso e un periodo di riposo.
La riabilitazione fisioterapica è molto importante nel caso di fratture della caviglia e del piede. Serve, infatti, a ristabilire attraverso esercizi mirati e ripetuti nel tempo l’esatta configurazione dei movimenti e un equilibrio nei rapporti tra ossa, nervi e muscoli. Si eseguono esercizi propriocettivi e di rinforzo muscolare.
L’alluce valgo è una delle patologie più diffuse del piede, caratterizzata da una deviazione dell’alluce verso l’esterno con un’importante tumefazione dell’articolazione metatarso-falangea. A soffrirne sono soprattutto le donne con età superiore ai 40 anni.
Oltre al difetto estetico, la presenza dell’alluce valgo causa difficoltà nell’indossare comuni calzature e dolore durante il cammino con anche disagi nella deambulazione nei casi più gravi.
Le cause sono spesso genetiche, costituzionali, accentuate dall’utilizzo di calzature scorrette (tacco alto e punta stretta).
DIAGNOSI
La visita medica presso lo specialistica si completa con esami specifici (radiografie e valutazione podologica) che aiutano a confermare e documentare la patologia al fine di pianificare la migliore strategia terapeutica.
TRATTAMENTI
Trattamento medico
Si può intervenire per l’alluce valgo attraverso una terapia farmacologica con antinfiammatori o servendosi di terapie fisiche come ultrasuoni a immersione e onde d’urto.
Trattamento chirurgico
La correzione dell’alluce valgo può essere risolto attraverso la chirurgia mini invasiva che prevede l’effettuazione di 2 o 3 fori di circa 2 millimetri sulla cute, senza quindi le classiche incisioni chirurgiche.
Con apposite frese del diametro di pochi millimetri il chirurgo procede all’asportazione dell’esostosi mediale (la cosiddetta “cipolla”) e ad adeguate osteotomie correttive per correggere la posizione delle sezioni ossee.
Non è necessaria la fissazione con mezzi metallici quali viti o cambre per la stabilità intrinseca di queste sezioni ossee.
L’intervento dura circa 25 minuti e viene effettuato in anestesia locale. Nei casi più avanzati, sempre con tecniche mini invasive, e’ possibile correggere le gravi deformità con pochi gesti aggiuntivi e l’utilizzo di apposite viti in titanio. Dopo l’intervento, il paziente può subito camminare con l’ausilio di una scarpa ortopedica che manterrà per i primi 30-40 giorni dall’intervento.
Il piede dovrà mantenere anche un bendaggio elastico da rinnovare ogni settimana nell’ambulatorio di chirurgia del piede per il primo mese.
Dopo 30 – 40 giorni il paziente è in grado di riprendere tutte le attività abituali.
Le dite en griffe o dita a martello sono una deformità che interessa il secondo, terzo e quarto dito del piede che assume un aspetto “curvo” o “ad artiglio”. La causa è uno squilibrio tra i piccoli muscoli del piede, spesso associato ad altre deformità (alluce valgo, piede cavo, artrite reumatoide): l’alterazione delle forze tra tendini estensori e flessori producono una progressiva flessione della interfalangea prossimale che porta ad una callosità dorsale del dito e dolore quando si indossano delle calzature.
DIAGNOSI
a visita medica presso lo specialistica si completa con esami specifici (radiografia) che aiutano a confermare e documentare la patologia al fine di pianificare la migliore strategia terapeutica.
TRATTAMENTI
Trattamento medico
Si può intervenire, se la patologia è lieve, inizialmente attraverso una terapia farmacologica con antinfiammatori e con un trattamento ortesico con realizzazione di protezioni in silicone su misura per il trattamento conservativo. Se il problema non si risolve, la soluzione è il trattamento chirugico.
Trattamento chirurgico
La chirurgia mini-invasiva è una tecnica chirurgica messa a punto recentemente che prevede la correzione delle deformità dell’avampiede con una metodologia chiusa, che non richiede tagli o dissezioni e riduce l’impatto chirurgico sul piede stesso. La correzione delle dita en griffe o dita a martello può essere risolta attraverso questa chirurgia mini invasiva che, a seconda della specifica patologia, può intervenite su: sezione dei tendini retratti; rimodellamento delle salienze ossee anomale; osteotomie delle falangi allo scopo di riallinearle.
L’intervento dura circa 15 minuti e viene effettuato in anestesia regionale (quindi solo del piede) e in regime di Day Hospital.
Dopo l’intervento, il paziente può subito camminare con l’ausilio di una scarpa ortopedica che manterrà per i primi 30-40 giorni dall’intervento.
Il piede dovrà mantenere anche un bendaggio elastico da rinnovare ogni settimana nell’ambulatorio di chirurgia del piede per il primo mese.
Dopo 30 – 40 giorni il paziente è in grado di riprendere tutte le attività abituali.
La fascite plantare è un’infiammazione che colpisce la fascia plantare del piede e, in particolare, la fascia di tessuto fibroso che inizia dalla zona del calcagno e si protrae fino alle ossa del metatarso vale a dire fino alle dita del piede.
La fascite plantare provoca quindi un dolore persistente al carico in regione plantare in corrispondenza del calcagno e, spesso, è associata ad esostosi locale (“spina o sperone calcaneare). In alcuni casi lo sperone calcaneare si presenta nella regione posteriore, creando dolore e conflitto a livello del tendine d’Achille.
Le cause della fascite plantare possono essere associate al sovrappeso, all’utilizzo di scarpe non adatte, a microtraumi dovuti in particolare ad attività sportiva.
DIAGNOSI
La visita medica presso lo specialistica si completa con esami specifici (radiografia, ecografia) che aiutano a confermare e documentare la patologia al fine di pianificare la migliore strategia terapeutica.
TRATTAMENTO
Trattamento medico
Si può intervenire per la fascite plantare attraverso una terapia farmacologica con antinfiammatori, con un trattamento ortesico e realizzazione di plantari su misura, con onde d’urto focali ed esercizi di stretching. Se il problema non si risolve, la soluzione è il trattamento chirurgico.
Trattamento chirurgico Se le terapie conservative non hanno avuto successo, la patologia può essere risolta chirurgicamente. L’intervento viene effettuato utilizzando la chirurgia mini-invasiva, una tecnica chirurgica messa a punto recentemente che prevede la correzione delle deformità dell’avampiede con una metodologia chiusa, che non richiede tagli o dissezioni e riduce l’impatto chirurgico sul piede stesso. La correzione della fascite plantare può essere risolta attraverso questa chirurgia mini invasiva che prevede l’effettuazione di un piccolo foro plantare, nel distacco della fascia e nell’ asportazione della spina calcaneare.
L’intervento dura circa 15 minuti e viene effettuato in anestesia regionale (quindi solo del piede) e in regime di Day Hospital.
Dopo l’intervento, il paziente deve rimanere a riposo e dovrà camminare per 15 giorni con le stampelle. Non è necessario indossare in questo periodo una scarpa ortopedica né effettuare bendaggi al piede che è stato sottoposto ad intervento.
Dopo 30 – 40 giorni il paziente è in grado di riprendere tutte le attività abituali.
Le fratture della caviglia e del piede sono eventi abbastanza comuni, che tuttavia comportano nella maggior parte dei casi un trattamento chirurgico molto delicato e una lunga riabilitazione. Quando si parla di frattura del piede, ad esempio, si ricomprende la probabile rottura di ossa diverse che compongono l’articolazione: le più esposte al rischio di frattura sono l’astragalo, il calcagno, lo scafoide, le ossa che compongono il metatarso e le ossa delle dita, vale a dire le falangi. Quando si parla di frattura del piede spesso si fa riferimento a un solo osso di quelli che compongono l’articolazione, anche se in alcuni casi – schiacciamento, incidenti – possono essere coinvolte più ossa. La frattura può essere netta, con due soli frammenti, o creare più frammenti, può essere composta o scomposta.
La frattura più complessa e grave riguarda l’astragalo, osso di collegamento tra tibia-perone e calcagno. Di difficile guarigione è anche la frattura del calcagno, l’osso su cui si scarica tutta la pressione del corpo. Le fratture dell’astragalo e del calcagno hanno una lenta guarigione perché si tratta di ossa scarsamente irrorate dai vasi sanguigni e quindi la saldatura dei frammenti è meno rapida. Fratture frequenti sono quelle del metatarso e dello scafoide, il collo del piede. Le fratture di più semplice ricomposizione sono quelle delle falangi.
Le fratture delle ossa del piede rivestono un’importanza particolare, perché possono determinare deformità e difficoltà nel camminare e nello svolgere le più semplici azioni quotidiane. Il trattamento è molto delicato per la complessità dell’articolazione e deve essere eseguito da esperti in chirurgia del piede e in centri specializzati.
La caviglia per la sua particolare collocazione è soggetta a numerose sollecitazioni: deve sopportare il peso di tutto il corpo. La frattura della caviglia consiste nella rottura delle parte distale della tibia o della parte distale del perone/fibula.
Le fratture si possono determinare per varie cause. Le più frequenti sono gli incidenti, in particolare gli incidenti alla guida e quelli professionali, in seguito a schiacciamento o a caduta dall’alto. Seguono i traumi sportivi, le cadute, le fratture da stress determinate da usura e movimenti ripetitivi. Un’altra causa di frattura del piede è l’osteoporosi, condizione in cui le ossa sono fragili e possono lesionarsi da sole senza urti o traumi.
I sintomi differiscono a seconda del punto di lesione. Generalmente la frattura provoca:
Dolore vivo
Difficoltà o impossibilità a reggersi in piedi senza provare dolore
Gonfiore
Presenza di lividi e tumefazioni
Deformità (pronazione)
Le fratture del piede si possono prevenire ponendo particolare attenzione alla protezione delle estremità con calzature infortunistiche se si svolgono lavori pericolosi. Se si fa sport bisognerebbe evitare di sottoporre i piedi a stress eccessivi ed è raccomandata la scelta di scarpe idonee al tipo di attività fisica. Per evitare le fratture dovute a osteoporosi si dovrebbe integrare l’alimentazione con fonti di calcio e vitamina D e seguire le terapie mediche per ripristinare la mineralità dell’osso.
DIAGNOSI
Gli esami per diagnosticare le fratture del piede includono:
• Radiografia del piede, che consente di visualizzare da più angolazioni le lesioni.
• Scintigrafia ossea, mediante un mezzo di contrasto che evidenzia le zone danneggiate.
• TAC (tomografia assiale computerizzata), fornisce informazioni preziose per individuare le lesioni e le interferenze con tessuti, muscoli e legamenti consentendo di pianificare meglio un intervento chirurgico.
• Risonanza magnetica, per la valutazione dello stato dei legamenti che possono essersi danneggiati durante un incidente e complicare la guarigione dell’articolazione.
TRATTAMENTI
Il primo trattamento della frattura consiste nell’applicare ghiaccio, nell’immobilizzare il piede e nell’eventuale riduzione del dolore attraverso la somministrazione di antidolorifici. Per alcune tipologie di frattura, le più semplici come la frattura dell’alluce, è sufficiente l’immobilizzazione della parte con il gesso.
Generalmente, le fratture del piede richiedono un intervento chirurgico, finalizzato alla ricomposizione (riduzione) dei frammenti e alla saldatura tramite viti metalliche, perni o piastre che vengono rimossi dopo la guarigione. All’intervento segue nella maggior parte dei casi una immobilizzazione con gesso e un periodo di riposo.
La riabilitazione fisioterapica è molto importante nel caso di fratture della caviglia e del piede. Serve, infatti, a ristabilire attraverso esercizi mirati e ripetuti nel tempo l’esatta configurazione dei movimenti e un equilibrio nei rapporti tra ossa, nervi e muscoli. Si eseguono esercizi propriocettivi e di rinforzo muscolare.
La frattura dell’alluce è una condizione in cui una delle ossa presenti all’interno del primo dito del piede si rompe a causa di un impatto violento.
La frattura dell’alluce è un problema piuttosto comune e che in molti casi può essere risolto senza particolari interventi medici o chirurgici. Si tratta, però, di una situazione più difficile rispetto a quella in cui a essersi fratturato è un altro dito nel piede e nelle situazioni più gravi il dito può deformarsi o presentare delle ferite aperte.
Per fratturarsi l’alluce è sufficiente un duro colpo al dito, ma anche la caduta di un oggetto pesante sul dito stesso. Inoltre alcuni movimenti ripetitivi, come quelli che si eseguono praticando alcuni sport, possono causare fratture da stress alle dita dei piedi.
I sintomi tipici di una frattura dell’alluce sono dolore, gonfiore, un bruciore che può durare anche per due settimane e difficoltà di movimento. I bruciori intorno all’unghia sono particolarmente frequenti nel caso in cui la frattura sia causata dalla caduta in un oggetto sull’alluce.
Per evitare le fratture dell’alluce è importante indossare sempre scarpe adatte all’attività che si sta svolgendo. Per alcune categorie di lavoratori l’uso delle scarpe antinfortunistiche è fondamentale.
DIAGNOSI
Per diagnosticare una frattura all’alluce può essere sufficiente una semplice visita medica.
Una radiografia può aiutare a localizzare il punto esatto della frattura, ma non è sempre necessaria.
Per riconoscere una frattura da stress può essere necessaria una risonanza magnetica.
TRATTAMENTI
La maggior parte delle fratture delle dita dei piedi guariscono da sole in 4-6 settimane. Nel caso dell’alluce, però, potrebbero essere necessarie una stecca o un’ingessatura e i tempi di guarigione potrebbero allungarsi di un paio di settimane. Nei rari casi in cui parte dell’osso si fosse rotta e allontanata dalla sua sede potrebbe essere necessario un intervento chirurgico.
Il dolore e il gonfiore scompaiono nel giro di qualche giorno o una settimana. Se necessario è possibile assumere degli antidolorifici.
Nelle prime 24 ore è utile applicare spesso del ghiaccio e per ridurre il gonfiore è utile tenere il piede sollevato. L’alluce può essere fasciato per aumentare la stabilità. L’attività fisica può essere ripresa poco alla volta solo una volta che il gonfiore sarà svanito e che sarà possibile indossare senza dolore delle scarpe in grado di proteggere l’alluce.
Il piede cavo è una malformazione congenita o acquisita che consiste in una eccessiva accentuazione dell’altezza dell’arcata plantare. Il piede poggia a terra solo nella parte anteriore e posteriore – sulle dita e sul calcagno – e questo può condurre a deformità del piede, come il varismo del retropiede o una scorretta configurazione di tutte le ossa plantari. Un segno tipico sono le griffe digitali, vale a dire dita eccessivamente flesse. È più frequente nel sesso femminile, soprattutto in quelle forme acquisite legate all’uso di calzature che a lungo andare modificano la forma del piede.
La causa del piede cavo congenito è la familiarità, vale a dire una predisposizione genetica che accomuna altri familiari e che può essere legata a uno sviluppo imperfetto (displasia) dell’articolazione.
Il piede cavo acquisito e cosiddetto essenziale è provocato da cause non patologiche come calzature troppo corte o con tacchi troppo alti che possono piegare a uncino le dita e incavare in modo esagerato l’arco plantare. Anche alcune attività sportive possono comportare l’accentuazione eccessiva dell’arco plantare.
Il piede cavo neurologico è legato a patologie neurologiche (paralisi poliomielitica, paralisi spastica, nella malattia di Friedreich, malattia di Charcot-Tooth) che provocano la paralisi del muscolo.
Il piede cavo secondario deriva da processi patologici, come l’artrite reumatoide, esiti chirurgici o altri danni ai muscoli e ai tessuti del piede.
DIAGNOSI
Il segno del piede cavo è un arco plantare accentuato, che condiziona la deambulazione della persona. Altri sintomi sono arrossamento e ispessimento della cute nella parte esterna del piede, che diventa dura e callosa. La persona sperimenta difficoltà a camminare, condizione che, nel caso dello sviluppo e dell’accrescimento del bambino, va costantemente monitorata perché può comportare una tendenza al ginocchio valgo, rigidità delle anche, accentuazione della curva lombare e mal di schiena frequenti.
TRATTAMENTI
La prevenzione delle forme acquisite del piede cavo si ottiene facendo attenzione, soprattutto nel caso delle donne, a scegliere calzature appropriate, non troppo corte o con tacchi troppo alti, per evitare che a lungo andare possano modificare la forma dell’arcata plantare.
Il piede piatto o piede pronato valgo è una deformità del piede caratterizzata da un abbassamento dell’arcata del piede fino alla sua completa sparizione. Appena dopo la nascita il piede è fisiologicamente piatto. Attorno ai 2-3 anni di vita la volta plantare inizia a formarsi e completa il suo sviluppo poco prima della pubertà ( 12-14 anni).
DIAGNOSI
La diagnosi del piede pronato valgo e clinica viene formulata dagli specialisti ortopedici.
TRATTAMENTI
Trattamento Medico
Il trattamento medico del piede piatto nel bambino si effettua con plantari o “sollette” da inserire all’interno delle calzature, che servono per migliorare l’appoggio del piede allineandolo in modo corretto rispetto al ginocchio e all’anca.
Non ci sono evidenze cliniche che dicono che il plantare possa correggere il piede piatto ma, sicuramente, offre un appoggio migliore salvaguardando anche la crescita dell’anca e del ginocchio.
I plantari vengono prescritti solitamente entro i primi 12-14 anni di vita in caso di piedi pronati valghi che possono dare “fastidio “ alla crescita corretta degli arti inferiori o, in caso di dolore, ai piedi dovuto all’attrito della parte mediale dei piedi contro le calzature.
Trattamento Chirurgico
L’intervento a carico del piede piatto (artrorisi della sotto astragalica o calcagno stop) viene eseguito in maniera preventiva dato che diversi studi hanno evidenziato che i bambini con piede pronato valgo possano sviluppare diverse patologie nella loro vita adulta come, ad esempio, l’alluce valgo e l’artrosi del piede e della caviglia.
Ovviamente in caso di forte dolore, l’intervento rappresenta l’unica soluzione.
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